mercoledì 14 maggio 2014

London Grammar, "If You Wait" - Recensione


voto: *** 1/2


I London Grammar sono giovani e come tali, vengono lanciati dal music system in pompa magna. Come sempre, ultimamente, si parla di The Next Big Thing; come sempre, negli ultimi tempi, la case discografiche investono una quantità esagerata di soldi nelle band emergenti possibilmente composte da front-men e front-women muniti di bel visino.
Sempre di più, si punta lo sguardo su band dal sound difficilmente categorizzabile se non sotto l'etichetta di "indie" (sopra-insieme che non ha il minimo significato o quantomeno, nessun significato facilmente spiegabile in poche parole), dal look alternativo, dalle dinamiche musicali adatte a fare da sfondo alla puntata di una serie televisiva alla "Grace Anatomy". Insomma, si tende sempre di più a quell'universo hipster che va tanto di moda ultimamente e quindi non solo moda ma anche musica e letteratura si stanno muovendo da un po'di anni in questa direzione.
Non ho niente contro la moda hipster se non che ritengo sia ormai un movimento morto e sepolto semplicemente commercializzato e dato in dono alle grandi masse.
Tutto questo preambolo per dire che i nuovi artisti cosiddettamente hipster (o "indie" che dir si voglia), sono pionieri di un nuovo pop che è dunque commerciale e facilmente consumabile. I London Grammar non fanno eccezione - come non la fecero i The XX quando debuttarono con il loro "XX" - e pubblicano un album di debutto, "If You Wait", che grida da ogni poro "musica indipendente" ma non fa niente di più né niente di meno di quello che già altri hanno fatto negli anni passati. Ma non c'è nemmeno troppo bisogno di andare a cercare negli annali.
Florence Welch punta tutto sulla voce e sull'interpretazione come la nostra Hannah Reid - o come la portentosa Annie Lennox qui ricordata dal timbro profondo e dai giochi vocali - i già citati The XX sono pionieri delle atmosfere notturne e ovattate. Cat Power è già maestra nell'esprimere malinconia attraverso gli accordi languidi di una chitarra elettrica.
I London Grammar sono bravissimi perché c'è qualità in quello che scrivono e nella musica che suonano; c'è ricerca del dettaglio, c'è passione ed emozione. Mi trovo in disaccordo però, con chi li reputa fenomenali e con chi strilla ai quattro venti che sono il futuro della British Music.
Da questa definizione mi dissocio: non sono interessata ad innalzare una band a nuovo oracolo.
Per tutto il resto, Hannah Reid (voce e testi), Dan Rothman (basso) e Dot Major (poli-strumentista), hanno centrato il bersaglio.
Il loro LP di debutto è poco più che una raccolta dei brani già pubblicati in formato EP in aggiunta a qualche inedito ma l'insieme è ben gestito. Ogni brano è collegato all'altro dallo stesso senso di malinconia e dalla stessa profondità di argomenti.
A questo punto, è più che chiaro che non si sta parlando di un album allegro, tutt'altro, ma di una manciata di canzoni che si collocano sì nel pop più radio-friendly, ma più sofisticato. Meno di plastica per intenderci.
Da qui, il voto medio/alto che ho dato all'opera. 
"If You Wait" è certamente un album patinato ma con un'anima al suo interno, racchiusa nella dolcezza delle melodie, nella perfezione con cui ogni brano è costruito - le ritmiche, le pause, i sottofondi inseriti a dare atmosfera a ogni brano, nella particolarità dell lyrics che sono criptiche e al tempo stesso autobiografiche e dirette.
Di sicuro, un album che vale la pena ascoltare almeno una volta, anche solo per godere di brani come "Hey Now", "Waisting My Young Years" (brano in cui chiunque potrebbe immedesimarsi), "Strong", "Nightcall", "Metal & Dust".
Ci sono delle cadute di tenore, dovute ovviamente alla giovane età dei membri della band che vorrebbero attingere a più stili musicali senza però riuscirci con convinzione. Nello specifico sto parlando di "Flickers" che è sì, bellissima nei suoi tamburi tribali ma non convince fino in fondo per mancanza di mordente.
In fin dei conti i London Grammar sono la versione pop dei Daughters - a cui spesso vengono accostati ma con cui non condividono le intenzioni - sono la grammatica delle emozioni e la risposta inglesissima degli americani The National.
Solo la voce di Hannah merita l'ascolto; poi ci sono quei piccoli gioielli come il brano "If You Wait" che chiudono in bellezza un album perfetto e dolcissimo che valgono l'intero album. 
Uno di quei brani che iniziano e paiono i soliti sottotono, brani ambient e poi esplodono grazie agli archi pieni e d'effetto sul finale; un mood che è un po' quello dell'intero LP.

giovedì 3 aprile 2014

"Un altro Mondo" di Jo Walton - Recensione

cover dell'edizione italiana
voto: ****

Finalmente posso tornare a scrivere di libri. Non che sia colpa di qualcuno se fin'ora non l'ho fatto.
Semplicemente - oltre all'ormai più volte citata mancanza di tempo - non riuscivo a trovare un titolo che mi tenesse incollata alle pagine fino alla fine e che attirasse la mia attenzione e stimolasse la mia fantasia.
Questo romanzo ce l'ha fatta e questa recensione mi serve per spiegarvi il perché.
Oltre ad essere stato nominato per (e ad aver vinto), molti prestigiosi premi, ne ha vinto uno che è forse il più prestigioso di tutti per i romanzi di genere; lo Hugo Award. Ha superato le opere di scrittori come Stephen King e soprattutto, per il fantasy, George R.R. Martin.
Ovviamente, non riporto questo dato perché convinta che serva per far capire quanto è valido questo romanzo - molte volte credo che i premi vinti non siano sempre meritati - ma per dare più peso alla frase seguente: non è uno YA a sfondo fantasy qualunque.
La sua categorizzazione è alquanto nebulosa perché è sì un diario - con la caratteristica di essere dunque un romanzo di introspezione - con la presenza di elementi fantasy ma a cui mancano tutti i topos tipici del genere.

Questo romanzo è il diario di Morwenna Phelps una ragazza di quindici anni originaria del Galles del Nord, costretta a scappare di casa per fuggire dalla follia della madre strega; Liz, la madre, è la causa dell'incidente in cui Morwenna è rimasta menomata alla gamba destra e in cui la sua gemella, Morganna, ha perso la vita.
Costretta ad allontanarsi dalle terre in cui è nata e cresciuta, le Valleys gallesi, trova rifugio a casa del padre che non ha mai incontrato e delle sue tre zie che però la iscrivono ad un collegio costosissimo e decisamente inglese per i gusti della nostra Mor.
Qui, la protagonista non troverà un rifugio sicuro dal suo dolore e dalle sue paure ma sfide continue che dovrà imparare ad affrontare - come il rapporto incrinato con il padre, delle compagne di scuola decisamente ostili e la mancanza di amici - e attraverso le quali maturerà considerevolmente.

L'impianto del romanzo è piuttosto semplice, come si intuisce dalla sua sinossi, ma al suo interno vi è un universo di argomenti che non è semplice riassumere né raggruppare sotto un unico insieme.
Ad esempio, Morwenna è costretta a ricostruirsi una vita dopo la morte della gemella. Il rapporto fraterno, viene preso in considerazione da tutte le angolature e le sfumature possibili; non è affatto semplice ricominciare a vivere un'esistenza come persona singola quando dalla nascita fai parte di una coppia. Ogni azione nel passato della protagonista è legato alla gemella; addirittura erano complementari e condividevano non solo la realtà di tutti i giorni ma anche gli stessi segreti. Morwenna ha praticamente perso oltre alla mobilità che è abbastanza fondamentale quando hai quindici anni, anche la sua migliore amica.
A complicare le cose non ci sarà solo l'istituto a cui è stata iscritta, l'Arlingust - una scuola piena di snobismo dove le sue iscritte sono tutte ragazze provenienti da ricche famiglie inglesi (e si ricorda che gli inglesi, snobbano considerevolmente i gallesi considerati come i nostri "terroni"); Mor dovrà farsi nuovi amici perché non può vivere di soli libri per quanto sia una lettrice accanita e legga di fantascienza come bere acqua.
Insomma, la commistione di argomenti è ampia: si passa dalla solitudine imposta e quella voluta contrapposta alla ricerca disperata di confronti con altri. Il primo amore e il sesso, non mancano e non manca nemmeno l'approfondimento all'argomento attraverso i romanzi scritti da altri autori. La scelta tra vivere o morire e la ricerca di motivi che spingano ad amare la propria esistenza nonostante le imperfezioni è un altro argomento molto sentito su cui il lettore è portato a ragionare in maniera approfondita.

Ciò che intendevo prima per mancanza di topos, è presto spiegato: essendo un diario, si è immediatamente catapultati all'interno della storia. Non esistono introduzioni e non esistono spiegazioni esaustive di ciò che sta accadendo: è necessario porre la massima fiducia nel narratore in quanto è l'unico punto di vista che conosciamo.
E come avviene nella realtà, se ci mettessimo a leggere il diario personale di qualcun'altro, non avremmo mai la possibilità di analizzare gli eventi sotto più punti di vista.
Di fatto, quando Morwenna parla di magia e di "fate" (che vengono chiamate in questo modo perché la protagonista non sa nulla di queste creature singolari e loro non si definiscono mai), il lettore non sa mai con certezza se lei stia mentendo o meno.
Il dubbio permane fino alla fine e perfino la spiegazione nei dettagli di ciò che avvenne la notte in cui Morwenna rimase ferita e Morganna perse la vita, non viene fornita mai con chiarezza.
Quasi tutti gli schemi tipici vengono quindi ignorati per dare freschezza al genere. Questo dimostra che non sempre è necessario dare tutti i dettagli per rendere una storia attraente al lettore; tanto spesso, è il mistero che avvince alle pagine.
La protagonista, inoltre, è una ragazza come tante - forse anche più svantaggiata - con cui è semplice entrare in sintonia; mi è stato semplice riuscire a immaginare gli eventi narrati da Morwenna anche quelli legati più al fantastico che non trovano un corrispettivo nella realtà.

L'edizione italiana, edita da Gargoilles, ha una copertina molto attraente, forse anche più bella di quella originale o dell'edizione americana. Peccato per l'impaginazione del testo che presenta alcuni errori di ortografia o anche delle lacune, come parole intere che mancano e ciò va a intaccare la scorrevolezza della lettura. Anche la scelta di pubblicare il libro in copertina flessibile non è delle più felici perché se si è come me che porto i libri ovunque anche in borsa dove possono rovinarsi in qualsiasi momento, garantirà al l libro una vita drasticamente breve.

Consiglio questo romanzo proprio a tutti; a chi ancora deve crescere e trarre ispirazione dalle scelte della protagonista e pure a chi è già cresciuto e troverà ispirazione, come ne ho trovata io, a iniziare o continuare a cercare il bello nei particolari che ci circondano.

mercoledì 26 febbraio 2014

St.Vincent, "St.Vincent" - Recensione

St.Vincent -- St.Vincent
voto ***** 

Adoro tutto di questa donna; dai capelli viola sparati per aria al suo atteggiamento da fanciulla artsy, molto indie.
La cover futuristica del suo ultimo album omonimo, che la ritrae seduta su un trono tutto rosa, con quei tre simboli che nemmeno in geroglifico, è così artsy che mi viene da piangere.

Scherzi a parte, e hipesteria a gogo che scaturisce da ogni poro della cover, il quarto album di Annie Clark - in arte St.Vincent, appunto - è una meraviglia pop.
Il valore aggiunto di quest'opera sta nelle retrovie, in quello che non percepiamo dal mero ascolto delle undici tracce che lo compongono. E' il lavoro di perfezionamento assolutamente riuscito e il tentativo di fare sembrare semplice quello che in realtà è puro tecnicismo, il culmine ultimo della carriera di un musicista. E nel suo genere, St.Vincent ha dato alle stampe il suo capolavoro. 
Un album cult che mescola con sapienza la lezione imparata da David Byrne - con quel electro-funk di cui questo LP si ammanta - e quella capacità di scrittura 'rubata' alla migliore PJ Harvey, di cui si riconosce l'influenza anche nei riff di chitarra elettrica così cupi, tecnicamente vicini al grunge.
Un album che è un piacere ascoltare data l'accuratezza delle ritmiche - fantastica "Rattlesnake" - e lo splendore dei fiati quasi Rn'B come quelli di "Digital Witness" (sembra una Beyoncè ispirata dalle HAIM).
Il punk di "Birth In Reverse" ci riporta alle origini di St.Vincent mentre "Bring Me Your Loves" è puramente psichedelica e un punto di equilibrio tra follia e accuratezza maniacale, che è un po' la caratteristica principale di questo"St.Vincent".
Faccio un esempio anche delle qualità compositive di Annie Clark citando l'ultimo brano in scaletta, la splendida "Severed Crossed Fingers" - degna conclusione di un LP d'impatto fatto di ritmi convulsi e scatti improvvisi, di voci corali sovrapposte e composto quasi solo da refrain killer.
Il brano può essere interpretato anche come un racconto delle difficoltà di vivere grazie alla musica eppure i suoi significati sono molteplici. Nella scrittura di St.Vincent c'è una polisemia sempre presente che consente a chiunque di calarsi nelle atmosfere che quest'artista tesse:

"When you're calling ain't calling back to you
I'll be side stage, mouthing lines for you
Humiliated by age, terrified of youth
I got hope but my hope isn't helping you"


Un album splendido, dunque, pieno di spunti di riflessione e picchi ritmici di cui non ci si stancherebbe mai. Il massimo che si possa desiderare.

Tracklist:
1. Rattlesnake
2. Birth In Revers
3. Prince Johnny
4. Huey Newton
5. Digital Witness
6. I Prefere Your Love
7. Regret
8. Bring Me Your Loves
9. Psychopath
10. Every Tear Desappears
11. Severed Crossed Figers


lunedì 17 febbraio 2014

Vanna Vinci, "La Casati, la musa egoista" - Recensione

Mancandomi il tempo materiale e la pace mentale per poter leggere libri veri e propri, ultimamente ho ripiegato sulle graphic novel.
La Casati -- la cover dell'edizione italiana

L'ultima che ho letto e di cui avevo parlato nella mia wishlist, è "La Casati, la musa egoista" di Vanna Vinci.
Trattasi della biografia a fumetti di una delle artiste meno artista che la Belle Epoque abbia mai avuto. Una donna scandalosa che dello scandalo e delle attenzioni della gente, fece il suo baluardo; il suo unico scopo era quello di stupire e costruire - utilizzando esclusivamente la sua stessa persona - un'opera d'arte unica e inimitabile nei tempi a venire: la Marchesa Casati Stampa.

Vanna Vinci ci racconta della vita di Luisa Casati, ovviamente a partire dalla sua nascita e, la segue nella sua evoluzione di provocatrice fino alla sua decadenza e poi alla morte.
La Marchesa, nata Ammam e figlia di un imprenditore di Milano ricchissimo, diviene ereditiera giovanissima - insieme alla sorella - di una fortuna inestimabile, sposa il Marchese Casati Stampa ed inizia a frequentare i salotti della nobiltà di Milano, Roma e Parigi.
Adolph De Meyer -- Marchesa Luisa Casati (1912)

Una milionaria nei primi del '900 che non aveva idea del valore dei soldi e che era annoiata dalla vita, già da giovanissima, e non sapeva come esprimere il proprio temperamento artistico se non trasformando sé stessa in opera d'arte.
La figura di donna più ritratta della storia, poco dopo la Vergine Maria e Cleopatra.
Sconvolse l'Europa - ma solo perché il concetto di opera d'arte che cammina non faceva parte della cultura occidentale (n.d. Gheisha in giapponese), divenne pioniera di quello che adesso è un trend tra le moderne pop star, sperperando il suo denaro in abiti, gioielli, case, viaggi.
Eppure, fu al centro della scena artistica dell'epoca e probabilmente, ne divenne la maggiore esponente e non dipingendo o scrivendo o scolpendo opere, ma ispirandone ad altri, a tanti altri. 
Luisa Casati secondo Vanna Vinci (2013)
Il risultato furono creazioni eterne che sono entrate a fare parte del patrimonio culturale umano e che descrivono una donna non bellissima ma affascinante e magnetica e pure misteriosa - che raramente mostrava le sue vere emozioni, che osava davanti a tutti eppure era timidissima - che seppe vendere la propria immagine, ottenendone un risultato massimale.
Una donna che ispirò dunque e che causò anche invidia; lei proseguiva imperterrita e ignorava le maldicenze che la volevano coinvolta con la magia nera e la negromanzia. Anzi, approfittava di tanto ciarlare intorno a lei, in modo da accrescere la curiosità e l'ammirazione. 
Niente male per una donna senza troppi talenti, tranne quello di consumare intere fortune.


Parliamo dell'opera di Vanna Vinci pubblicata dalla Rizzoli Lizard alla per niente modica cifra di euro 17,00.
L'albo è pregiato, ha la copertina rigida e tutte le pagine sono a colori la cui stampa costa certamente di più di quella in bianco e nero.
uno dei bozzetti presenti in fondo al volume
Lo spessore delle pagine è decisamente consistente e ben rilegato alla costa, dettaglio che ne fa un prodotto con maggiori possibilità di durare nel tempo. La stampa è ottima e non inficia i dettagli e i colori delle tavole originali.
L'albo viene introdotto da Natalia Aspesi (giornalista e scrittrice), che ci da una buona presentazione biografica e storica del personaggio, riassumendo i dettagli salienti e introducendoci nel mondo disegnato dalla Vinci.
Il tratto dell'autrice è molto particolare; è dettagliato e sgraziato allo stesso tempo. Io ci ho messo qualche tavola per abituarmi a quelli che inizialmente, lo dico sinceramente, mi erano parsi degli sgorbi.
La caratterizzazione della protagonista viene affidata soprattutto alle comparse che spesso parlano e raccontano delle gesta della Marchesa. Qualche volta è la stessa Luisa a parlare di sé stessa, come farebbe un qualunque critico di fronte a un'opera d'arte. 
Traspare ironia, fascino e solitudine dai baloon e quando si arriva alla fine della graphic novel ci si sente invasi dalla presenza monolitica della Casati e al tempo stesso, si sente il vuoto che può attanagliare chi conduce una vita simile.

In realtà, nessuno sa veramente se la Marchesa fosse realmente soddisfatta di condurre una vita simile, oppure se avesse sacrificato tutta sé stessa in nome dell'arte e dell'immortalità.
Fatto sta che Vanna Vinci ripercorre le gesta di una donna straordinaria, unica nella sua epoca, futurista in un certo senso, che anticipò di molto il femminismo e i suoi credo e il senso estetico che la attuale cultura ha abbracciato in pieno, che condividiamo e viviamo tutti ormai, quotidianamente.

martedì 28 gennaio 2014

My personal, little WISH LIST

Un po' come se fosse un'app su cui appuntare ciò che si desidererebbe acquistare (e ne esiste veramente più di una specializzata in base alla categoria di articoli), vorrei iniziare a tenere questa rubrica a cadenza irregolare (OVVIAMENTE), un po' come ho visto fare da tanti altri blogger.
Visto il numero esiguo di persone che mi leggono, non credo che ci sia qualcuno a cui interessi sul serio ma, a chi fosse interessato veramente vorrei indicare una serie di titoli - musica e/o libri, a seconda del mio umore ù.ù - che mi piacerebbe ascoltare/leggere nell'arco dei prossimi mesi.
A volte la lista sarà lunga, altre breve; insomma, una rubrica libera da tutti gli schemi per contenuti e cadenza.
Forse sarebbe utile dire che si accettano consigli: chiunque voglia aggiungere qualcosa, lo può fare nei commenti e lo può fare anche chi non segue il blog ma è capitato tra queste pagine per caso. Mi piace ricevere consigli su titoli e autori/artisti (in musica, lo adoro in modo particolare), che non conosco.

n.b. dato che si tratta di una wishlist, ho pensato che inserire album non ancora pubblicati ma annunciati in pubblicazione entro il 2014, non fosse una cattiva idea. Sapete, quelle uscite dei tuoi artisti preferiti che aspetti con ansia tale da prenotarle con giorni d'anticipo su Amazon, per esempio:

Adele
Adele "24": IO SO CHE DEVE USCIRE. 
So per certo che Adele, ha passato la seconda metà del 2013 a registrare e che ora l'album è in post-produzione. So che la sua ultima fatica, uscirà quest'anno e si intitolerà "24", come i suoi anni. 
Non vedo l'ora di metterci le mie manine sopra. 
Seguendola dagli esordi (facevo ancora le superiori quando uscì "19" e me ne innamorai perdutamente), e amandola in modo decuplicato già a partire da quella hit che era "Rolling in the deep", finendo per considerarla mia dea del soul una volta ascoltato tutto "21", non potevo mancare di inserirla nella mia prima wishlist


cover dell'edizione italiana
Edna O'Brien, "Ragazze di Campagna":
"La timida e romantica Caithleen sogna l'amore, mentre la sua amica Babà, sfrontata e disinibita, è ansiosa di vivere liberamente ogni esperienza che la vita può regalare a una giovane donna. Quando l'orizzonte del loro piccolo villaggio, nella cattolicissima campagna irlandese, si fa troppo angusto, decidono di lasciare il collegio di suore in cui vivono per scappare nella grande città, in cerca d'amore ed emozioni. Nonostante siano fermamente decise a sfidare insieme il mondo, le loro vite prenderanno però vie del tutto inaspettate e ciascuna dovrà imparare a scegliere da sola il proprio destino. "Ragazze di campagna" venne scritto in soli tre mesi e inviato a un editore, il quale ricevette da un celebre scrittore suo consulente questo giudizio: "Avrei voluto scriverlo io". Alla sua pubblicazione, avvenuta nel 1960, l'esordio narrativo di Edna O'Brien, fortemente autobiografico,suscitò reazioni di sdegno e condanna che andarono ben oltre le intenzioni di una sconosciuta autrice poco più che ventenne: il libro fu bruciato sul sagrato delle chiese e messo all'indice per aver raccontato, per la prima volta con sincerità e in maniera esplicita, il desiderio di una nuova generazione di donne che rivendicava il diritto di poter vivere e parlare liberamente della propria sessualità."
Su questo titolo ho un unico dubbio: in italiano o in lingua originale?


immagine fan-made
Lana Del Rey, "Ultraviolence":
riferimenti ad "Arancia Meccanica" a parte, pare proprio che questo sarà il titolo del nuovo album della Del Rey in uscita quest'anno. Non vedo l'ora.










cover dell'edizione in lingua originale
Rainbow Rowell, "Eleanor & Park" (in italiano tradotto "Per una volta nella vita"): 
"Eleanor è appena arrivata in città. La chioma riccia rosso fuoco e l'abbigliamento improbabile, ha lo sguardo basso di chi, in pasto al mondo, fa fatica a sopravvivere. Park ha tratti orientali che ha preso dalla madre coreana e veste sempre di nero. La musica è il suo rifugio per tenersi fuori dai guai. La loro storia inizia una mattina, sul bus che li porta a scuola. Park è immerso nella lettura dei suoi fumetti e perso tra le note degli Smiths, Eleanor si siede accanto a lui. Nessun altro le ha fatto posto, perché è nuova e parecchio strana. Il loro amore nasce dai silenzi, dagli sguardi lanciati appena l'altro è distratto. E li coglie alla sprovvista, perché nessuno dei due è abituato a essere il centro della vita di qualcuno. Tra insicurezze e paure, Eleanor e Park si scambiano il regalo più grande: amare quello che l'altro odia di sé, perché è esattamente ciò che lo rende speciale. Sarà la loro forza, perché anche se Eleanor non sopporta quegli sfigati di Romeo e Giulietta, anche il loro legame deve fare i conti con un bel po' di ostacoli, primo fra tutti la famiglia di lei, dove il patrigno tiranneggia incontrastato. Riusciranno, per una volta nella vita, ad avere ciò che desiderano?".

cover edizione italiana
Natsume Soseki, "La Porta":
"Sosuke e Oyone sono due sposi che conducono una sobria e, in apparenza, tranquilla esistenza. In realtà, il rimorso pesa sul loro cuore. La loro unione ha, infatti, determinato tempo addietro la rovina di Yasui, il compagno di studi di Sosuke, l'elegante, spensierato amico d'università dai vestiti eleganti e dai capelli lunghi, che, dopo la ferita subita dal vortice irresistibile della passione che travolse la mente e i cuori di Oyone e Sosuke, lasciò Tokyo e raggiunse la Manciuria, compromettendo irrimediabilmente il suo avvenire. A costituire per la coppia un'ulteriore fonte di angustie sono le ristrettezze finanziarie - alla morte del padre, Sosuke scopre che del cospicuo patrimonio di famiglia non resta più nulla -, la freddezza dei parenti e, soprattutto, la mancanza di figli, nella quale Oyone scorge un castigo del Cielo. Rassegnati a un destino mediocre, ben lontanto dalla brillante carriera cui Sosuke poteva aspirare sia per nascita che per doti personali, marito e moglie trovano conforto nel reciproco amore, balsamo inestinguibile col quale placano il rimorso che si annida costantemente in un angolo della loro coscienza. Pochi sarebbero gli eventi in grado di scuotere la loro quieta malinconia, se un giorno Sosuke non rischiasse di incontrare Yasui presso il padrone di casa, il ricco, gioviale e generoso Sakai. La notizia che l'amico si accinge a ritornare a Tokyo dalla Mongolia sconvolge Sosuke e rinfocola tutte le ansie..."


Vanna Vinci, "La Casati. La musa egoista":
"Chioma fulva e indomabile, trucco marcato e splendide forme avvolte in audaci mise: Luisa Casati Amman poteva presentarsi in lamé, coperta da piume di pavone, celata in costumi maschili o, semplicemente, nuda. Fu una delle donne più strabilianti della Belle Epoque, famosa per i memorabili exploit - come le passeggiate con un ghepardo al guinzaglio - per le feste faraoniche e per l'incredibile numero di artisti che si lasciarono ispirare dalla sua bellezza. Egoista ed egocentrica, dilapidò un immenso patrimonio inseguendo il desiderio di stupire e trascorse i suoi ultimi anni in povertà, restando però sempre fedele alla leggenda che era diventata. Ma la marchesa Casati è stata in primo luogo un'artista, un'autentica "body performer" ante litteram, il cui unico obiettivo fu, per tutta la vita, quello di trasformare se stessa in un'opera d'arte. Idolo pagano del suo tempo, Coré rivive con lo stesso fascino tra le pagine di questa biografia, a conferma che "l'età non può appassirla, né l'abitudine rendere insipida la sua infinita varietà" ".
Adoro le graphic novel! 

martedì 14 gennaio 2014

*Best of 2013: indie chart*

Eccomi ancora qua a piagarvi gli zebedei.
Questa è la seconda chart dedicata ai Best del 2013 tra le uscite indie. Anche qui ho cercato disperatamente di essere il più stringata possibile per cui, come per la volta scorsa, in classifica troverete solo 5 album (+1).
Pronti ad avvelenarvi il sangue?

*top 5 Indie Chart +1*
Diane Birch -- Speak A Little Louder

5. Diane Birch -- "Speak A Little Louder": già vi avevo parlato di lei e se aveste fatto bene i compitini a casa, lo sapreste per certo che attendevo questo secondo album con impazienza.

Se con il primo lavoro ci si trovava davanti a un'opera ispirata dal soul/gospel anni '60, qui la Birch ci catapulta negli anni '80. I cori trash e le tastiere psichedeliche alla Depeche Mode sottolineano un gusto per il vintage che non si ferma solo al genere con cui Diane è cresciuta e con cui ha debuttato.
La capacità di muoversi tra più generi c'è; quella di produrre un lavoro mainstream e che la faccia conoscere al grande pubblico ancora no.
Vintage.




The Strokes -- Comedown Machine
4. The Strokes --"Comedown Machine": ho già ampiamente elogiato Casablancas e soci in una precedente recensione. Che dire? Nessuno, per tutto l'anno, li ha scalzati dai miei ascolti indie quotidiani.
Alla faccia.










HAIM -- Days Are Gone
3. HAIM -- "Days Are Gone": quanto canta male Danielle dal vivo lo sa solo il signoreiddionostro, ma suona abbastanza bene la chitarra perché io possa perdonarla.
Questo full-lenght mi piace e le tre sorelle HAIM, nel complesso, hanno dello stile e dell'energia nonché delle idee per un indie-pop di classe. "Let me go", penso di averla ascoltata un quadrilione di volte. E poi, puoi fare ambarabàciccìcoccò per scegliere la sorellina preferita (io adoro Este). Sono comunque poli-strumentiste e si sono fatte rispettare all' iTunes Festival di Londra a cui partecipa un sacco di gente giusta introdotta da artisti molto poco mainstream (in Italia, eh, sia ben chiaro).



Austra -- Olympia
2. Austra -- "Olympia": ho adorato questo album electro-indie e l'ho ascoltato più e più volte con rinnovato stupore per ogni dettaglio che coglievo nel tappeto musicale che compone ogni brano. E' la quintessenza dell'essere hipster: cantante dai capelli rossi vestita in modo molto cool che registra un album con altri tizi altrettanto cool e hipster quanto lei. Ma, accidenti, l'album è riuscito. Lei ha una voce che passa dal registro soave a quello potente in pochi fraseggi e non è mai fuori posto. I brani mantengono sempre un livello piuttosto alto a metà tra il il folk nordico, tanto sono rarefatte le immagini che vengono evocate, e la wave più underground. Il risultato è un LP potente, più convincente di altri usciti nello stesso periodo (dato che sembra che il genere piaccia molto ad hipsterlandia), mai noioso e variegato. Ho apprezzato tanto di più gli Austra ai The Knife, per esempio, perché risultano essere meno cervellotici e molto più facili da interpretare.




James Blake -- Overgrown
1. James Blake -- "Overgrown": ho letteralmente consumato quest'album. La custodia è completamente graffiata e il booklet, mezzo sgualcito. Mi sono sperticata in complimenti in questa recensione.
Da allora, nulla è cambiato.










Vampire Weekend -- Modern Vampires of the City
Sul +1 ho avuto il non-plus-ultra delle difficoltà: non sapevo scegliere. E' stata veramente una lotta alla pari.
Ma alla fine hanno vinto i Vampire Weekend con il loro "Modern Vampires of the City"
In questo album ci sono tutti i dogmi e i crismi della musica alternativa, concentrati in dodici brani consumabili in pochi minuti. I Vampire Weekend sono dei pionieri e dei baluardi del genere indie capaci di passare dalle sonorità più spensierate, quelle che li hanno fatti conoscere alla "A-Punk" o "Cape Code Kwassa Kwassa" o ancora alla "Horchata", a sound più oscuri - come in quest'ultimo LP. I ragazzi sono cresciuti, e in questo lavoro si sente.

L'altro album candidato era quello di Anna Calvi, "One Breath", che essendo bello da togliere il fiato non poteva comunque non essere citato. Ho parlato di lei, qui.

Buon 2014 a tutti :)