lunedì 27 maggio 2013

"Warm Bodies" di Isaac Marion - La Recensione


Warm Bodies front cover - Isaac Marion



voto *** 1/2

Ho iniziato a leggere questo romanzo prendendolo come una breve e leggera interruzione alla lettura del libro di Clavell (quel mattone di "Shogun"). Mi sono detta "Perché no?", nonostante la frase di Stephenie Meyer piazzata in copertina che per me è stata più un deterrente che uno stimolo.
Ero curiosa, come sempre, per cui ho ceduto e non me ne sono pentita, affatto.
Il libro d'esordio di Marion - che prende forma da un suo vecchio racconto breve - è un romanzo ironico, molto cinematografico (non a caso ne hanno tratto un film), e con più di una morale al suo interno, nascosta neanche troppo tra le righe.

Il romanzo parla di R, uno zombie con una coscienza molto più viva del suo corpo. Purtroppo la sua condizione di mostro lo porta a limitare le relazioni sociali quasi allo zero - non fosse per il suo migliore amico M - e a seguire esclusivamente quell'istinto potente e atroce che è la sua fame di carne viva.
Durante una battuta di caccia mangia il cervello di Perry Kelvin e inaspettatamente ne assorbe completamente i ricordi e i sentimenti. Evento che lo porterà a proteggere Julie, la ragazza di Perry, con la quale instaura lentamente uno strano ma dolce rapporto. Questo è un mondo dove i cambiamenti non sono graditi e i due ragazzi avranno parecchi ostacoli da superare prima di poter finalmente vivere insieme in armonia.

Devo dire che durante la lettura mi sono ritrovata a ridere parecchie volte: nonostante R, il protagonista, sia uno zombie che fatica a comunicare con il mondo che lo circonda, all'interno della sua testa c'è un intero universo che viene mosso dalle sue continue domande e osservazioni fatte in solitaria. Ed è molto divertente. Quello che intendo dire è che la mente di R è molto affascinante e decisamente acuta e non è semplice per un autore riuscire a creare questo tipo di dinamica senza il rischio di far annoiare a morte il lettore.
Il quasi continuo flusso di coscienza di R invece, è scorrevole, con guizzi di ironia e un'umanità infinita che fa impallidire quella di certi altri personaggi che sono molto più vivi del nostro protagonista.
La storia può sembrare solo una versione di Romeo ("R"omeo), e Giuletta ("Julie"t, la co-protagonista), post-apocalisse. Le tematiche sono invece molto più profonde perché si affronta il razzismo e la paura del "Diverso", per passare poi alle conseguenze di una devastazione dovuta all'incuria dell'uomo, soprattutto verso se stesso.
La de-umanizzazione della razza umana, sia negli zombie che negli stessi vivi è un altro tema centrale. Lo stretto confine tra la vita e la morte e il desiderio di vivere appieno nonostante le difficoltà - in questa storia rappresentate all'estremo dalla condizione di zombie di R.
L'amore e il suo potere di guarigione del cuore da quelle che sono le ferite inferte dall'esistenza qui rappresentate dall'infezione che trasforma i vivi in morti che camminano: una sorta di grande metafora della società moderna.
Lo stile narrativo di Isaac Marion, come accennavo prima, è cinematografico e quindi dinamico, tutto declinato al presente. La vita è qui e ora e va affrontata, pare dire a ogni rigo.
Marion non è un grande paesaggista: spesso e volentieri gli ambienti in cui i suoi personaggi si muovono sono talmente desolati e in rovina che non vale mai troppo la pena di soffermarsi su dettagli che ormai sono stati cancellati dalle guerre e dall'infezione. Ciò che interessa il nostro autore sono i rapporti interpersonali e la crescita unita alla guarigione del nostro protagonista.
Anche il personaggio di Julie è ottimo; anticonformista, indipendente e ragazzina nel suo essere donna sopravvissuta alla sofferenza più cruda; non crea antipatia né avversione ma anzi, forse per lo spiccato "istinto da crocerossina" insito in ogni donna, si viene a creare molta empatia con lei se sei lettrice. Te ne innamori se sei lettore.

Non voglio rivelare oltre; "Warm Bodies", è una lettura fresca e veloce che vi terrà un'enorme compagnia nel caso decideste di avventurarvi tra le sue pagine. Non è il romanzo del secolo, ma il romanzo adatto al secolo e alla società in cui viviamo.
Magari vi farà pensare come è accaduto a me. O magari vi strapperà solo qualche sorriso il che non è male, nemmeno un po'.

Hope Valentine.


venerdì 10 maggio 2013

James Blake, Overgrown -- Recensione

James Blake--Overgrown
voto **** e 1/2

Eh già, ho tutte le intenzioni di osannare questo LP.
Incuriosita dalla recensione negativissima e pesantissima assegnata da Rolling Stone Italia, ho voluto ascoltare anche io questo album tanto per capire se dovevo aggiungermi al coro dei "A morte!!", oppure no.
Invece sono rimasta imbrigliata nella rete emotiva che James Blake costruisce; impigliata senza possibilità di tornare indietro e mai pentita di avere fatto una passo verso l'ignoto.
Ignoto perché ammetto che mi ero persa il suo album d'esordio del 2011, osannato dalla critica come un masterpiece (eh, abbiate pazienza; non faccio il mestiere di critico musicale e non sono neanche lontanamente dell'ambiente per cui le mie possibilità di venire a conoscenza di nuove uscite è assai limitata), tanto che si sono dovuti inventare un nuovo nome per definire la musica di questo giovane musicista: post-dubstep (-soul).
Comunque, se vi lascerete trascinare all'interno di questo LP intenso, muscolare, studiato fino al dettaglio più insignificante, cerebrale ma liberatorio allo stesso tempo, non ve ne pentirete.
Fin dal primo brano - la title track Overgrown -  la voce ambivalente di James Blake trasmette intensità e intenzione; alti e bassi - anzi, altissima catarsi e bassissima introspezione - desolazione dell'anima e beat malinconici.
Un uso della voce classicamente soul che si mescola a suoni elettronici perfetti, pieni e corposi.
Life Around Here per esempio, ha una base simil trip-hop su cui scorre la voce vellutata di Blake che ti accarezza l'anima con fraseggi e costruzioni vocali puramente soul-gospel.
Si passa da intricate realtà psicologiche dettate da beat e registrazioni in loop di schemi vocali strazianti, a brani semplici dove è il pianoforte a primeggiare perfino sulla voce; come in Dlm che scorre con amarezza e solida tristezza.
Oppure To the Last, che è emotivamente perfetta: la vocalità di Blake si avvicina in maniera pericolosa a quell'intensità propria di un'interpretazione di Antony Hegarty o di un ispiratissimo Bon Iver.
Lentamente si scivola verso la dolce e pacata conclusione di questo album che nella versione Deluxe si conclude con una Every Day I Ran; qui c'è più caos, il disagio di chi vive da disadattato è palpabile. Sembra un esorcismo, potrebbe suggerire disordine e perdizione ma nella quasi totale mancanza di lyrics sensate e compiute e nella sistematicità dei beat, l'ordine c'è eccome.
Sperimentazione coraggiosa anche nelle collaborazioni presenti in questo full-length: Take a fall for Me, è un mezzo demone con cui combattere. Prima delle due collaborazioni presenti nell'LP, è forse il brano meno collocabile perché spezza un po' l'andamento generale dell'album. Il featuring di RZA (leader di fatto del Wu Tang Clan), è un hip-hop sintetizzato, sommesso e non troppo di classe come invece arriva all'orecchio il resto del lavoro di Blake.
Mentre l'altra collaborazione dell'LP è quella con Brian Eno, che ho preferito: Digital Lion è una sorta di danza tribale claustrofobica composta da quattro minuti intensi, metodicamente perfetti fatti di sinth e un' alternanza di voce e post-dubstep ridotto all'osso.

Dopo averlo ascoltato un paio di volte ho ben capito perché chi ama il rock puro e crudissimo - e soprattutto non ha la mente abbastanza aperta ma rimane fossilizzato su preconcetti dell'era mesozoica - non possa apprezzare un album di questo calibro:
troppo introspettivo, troppo lento e troppo studiato nel dettaglio per chi apprezza i sound immediati e molto più istintivi del rock n' roll (che è poi lo stesso mondo da cui "provengo" io).
Eppure le persone che lo hanno stroncato sono le stesse che magari osannano Nick Drake, morto forse suicida giovanissimo e cantautore dell'introspezione e dell'emotività più cupa.
Io sono convintissima invece che scegliere percorsi alternativi sia tutt'altro che una mossa logica o studiata a tappeto ed è per questo che nonostante tutta la ricerca, la preparazione pre-registrazione, io riesca a vedere l'immediatezza e la genuinità di questo ragazzo che riesce a esprimersi solo mescolando generi all'apparenza opposti, in un nuovo modo di comunicare e fare musica.

Ascolti consigliati: "Overgrown", "I Am Sold", "Life Around Here", "Retrograde", "To the Last" e "Our Love Comes Back".

Hope Valentine.