sabato 7 settembre 2013

Diane Birch, "Bible Belt" - Recensione

Diane Birch - Bible Belt
voto: ****

Questa giovane pulzella nata nel Michigan ma che ha poi vissuto nelle città di mezzo mondo, è un piccolo talento della soul music.
E' bianca, è già questo è strano, e modaiola che la rende un prodotto poco vendibile come fiore all'occhiello del genere soul/gospel. 
Eppure è una che di musica gospel ne ha ascoltata parecchia, senza contare le influenze soul e blues ché anche quelle sono state numerose (ascoltare per credere la scelta di cover che compaiono nell'EP "The Velveteen Age").
E' una cantautrice che all'estero ha ottenuto poco mercato, rimanendo artista di nicchia per i pochi intenditori in madre patria. Eppure Diane Birch nel 2009 pubblicava questo "Bible Belt", che come opera prima si faceva notare sotto molti punti di vista.
Primo fra tutti, la vocalità della Birch che accosterei a moltissime artiste del passato ma che trova pochi paragoni nel presente soprattutto per la grande capacità di dare un tocco di modernità a un genere polveroso come questo. In ogni caso, una voce calda e che non ha timore di sfiorare le note più basse come quelle alte e che ti accompagna dolcemente e piacevolmente lungo tutto il cammino.
Le capacità compositive sono un altro punto a favore; Diane sforna pezzi dal ritmo travolgente ("Valentino", "Fools", "Dont' Wait Up"), e li alterna a brani dolcissimi ("Fire Escape", "Rewind"), che canta con un trasporto percepibile mentre il brano gira ininterrottamente nell'iPod. Oppure ti sorprende con un pezzo che inizia come una ballata romantica e che sembra seguire il solito schema strofa-ritornello-ponte-ritornello e invece termina con in coda due minuti e mezzo di puro gospel ("Photograph"), o con un brano che sembra fuoriuscito direttamente dal repertorio dei The Doors ("Choo Choo"), con quelle tastiere acide di cui senti la nostalgia ogni giorno da quando Jim Morrison se n'è andato.
Le lyrics sono un'altro punto di forza di questo bel lavoro; mature e pulite eppure non scontate come nel piccolo capolavoro di "Forgivness", dove la Birch si esprime al meglio e con chiarezza disarmante in poche parole: "Your love, no ain't worth coursin'. Your heart ain't worth hurtin' ".

E allora perché quattro stelle e non cinque? Semplicemente perché è un LP di debutto e non è detto che lo stile di Birch abbia finito di evolversi e non è detto che la ragazza non possa cedere alle tentazioni del libero mercato e decidere di darsi a qualcosa di più pop (spero non all'ippica, invece).

Da ascoltare in abbinamento al già sopra citato EP, "The Velveteen Age", che è da considerarsi il backfire di questo "Bible Belt".

The Civil Wars, "The Civil Wars"- Recensione

The Civil Wars - The Civil Wars 
voto: *** 1/2

Dopo essersi affermati nel panorama musicale più indipendente e tra i cultori del genere country-folk con un album d'esordio acclamato anche dalla critica, il duo The Civil Wars ritorna con un LP omonimo.
I colori plumbei della copertina sono una sorta di biglietto da visita che introduce al meglio il mood di questo album, oscuro e intimista.
Ma il font delicato utilizzato per scriverne il titolo, lascia intendere che la dolcezza di fondo non se n'è andata.
Un lavoro agro-dolce dunque, quello che ascoltiamo brano dopo brano; un album che inizia con quello squarcio di dolore che è "The One That Got Away" (il brano che più strizza l'occhio al folk-blues dell'intero pacchetto), ed è subito seguito da "I Had Me a Girl" - piccolo gioiellino di blues acustico il cui attacco ricorda inesorabilmente lo stile Black Keys.
Con "Same Old Same Old", arriva la tristezza vera, quella che non ti lascia nemmeno dopo essere passati al brano successivo; una "Dust to Dust" che coglie i Nostri in piena forma.
Uno dei veri gioielli dell'album rimane "From The Valley", imbattibile nell'esprimere all'ennesima potenza l'anima country-folk di Joy Williams e John Paul White. Seguita a ruota da una "Devil's Backbone" che a mio parere, è da brividi.
A livello stilistico e tecnico non siamo di fronte a un LP complesso - proprio come nelle intenzioni del duo - ma abbiamo una serie di brani suonati principalmente in acustica, come vuole la tradizione country, perlopiù arricchiti da accordi in elettrica e da una batteria comunque poco preponderante. E' sul piano canoro che i The Civil Wars si esprimono al meglio, raggiungendo livelli di emozione molto alti e dove riescono a sfaccettare ulteriormente i loro brani cantautorali. 

A tratti questo album appassiona, veramente, mentre quando lo si ascolta con poca attenzione si rischia di perdere la concentrazione necessaria per assorbire un lavoro così intimista e profondo. In ogni caso, è assolutamente consigliato agli appassionati del genere.

Ascolti consigliati: "The One That Got Away", "I Had Me a Girl", "Same Old Same Old", "Devil's Backbone", "From The Valley", "Oh, Henry".