giovedì 10 gennaio 2013

Cloud Atlas... il libro, non il film!



Non è semplice scrivere di un romanzo della portata di "Cloud Atlas" scritto da David Mitchell nel 2004 e riportato alla ribalta dal recente adattamento cinematografico omonimo.
Per la struttura della storia, per la quantità di informazioni che contiene. La complessità dei personaggi che vi prendono vita.
Nemmeno il nocciolo della questione che si cela sotto 500 pagine e passa di romanzo è tanto semplice da spiegare.


Partiamo con calma e forse sarò in grado di sciogliere la matassa.

Sei sono le storie che compongono il romanzo, intersecate tra loro e consequenziali una all'altra come una serie di bambole matrioska.
Un notaio di San Francisco di fine '800 attraversa l'oceano per fare ritorno a casa dalla sua amata famiglia; un compositore degli anni '30 attraversa il Belgio per coronare il suo sogno di diventare collaboratore di uno dei più grandi musicisti viventi del periodo. Una giornalista degli anni '70 impiegata in un giornale di gossip viene a conoscenza di progetti economico-politici-ambientali e i tentativi di insabbiamento che li circondano destinati a rovinare il paese; un anziano editore inglese dei giorni nostri si ritrova "improgionato" in una casa di riposo a sua insaputa; un clone nella Corea del futuro, a cavallo degli anni 2000, che tenta di elevarsi rispetto allo scopo per  cui è stata creata. In un futuro post-apocalittico vicino agli anni 3000, un giovane cerca la libertà e la via di fuga da un popolo schiavista antagonsta della sua tribù d'origine.
Le storie cominciano e si interrompono tutte a metà fino al sesto capitolo e quindi al sesto protagonista, per poi riprendere da dove le avevamo lasciate procedendo a ritroso fino a tornare al punto di partenza.

Questa in parole povere la sinossi del romanzo ma sotto c'è molto, molto di più.

Le azioni compiute nell'esistenza precedente pare abbiano un'influenza su quella successiva e sembra che la stessa anima trasmigri e si reincarni da un personaggio all'altro, accumulando esperienze a livello inconscio che lo portano a fare alcune scelte piuttosto che altre.
Tra tutte le reincarnazioni, le femminili sembrano essere quelle che conservano il maggior numero di informazioni pre cognitive.
In realtà tutti i personaggi nell'arco delle storie si accorgono anche solo inconsciamente di avere qualcosa in comune con l'anima che li ha preceduti oppure di avere a che fare con una reincarnazione della stessa.
Ed è questo circolo infinito che attraversa le epoche e unisce una storia all'altraa farne uno dei punti forza del romanzo di David Mitchell,visionario quasi quanto quelli di Kurt Vonneghut.
L'altra parte forte di tutta la faccenda è che lo stile, il ritmo e il vocabolario che cambiano di capitolo in capitolo rispettano le epoche storiche e le personalità dei personaggi che le abitano.
Chiaramente nella traduzione all' italiano qualcosa dello smalto originale si sarà perso – anche se non ho  avuto occasione di leggerlo nella lingua d'origine – quella sottile ironia che traspare in alcuni giochi di parole o vocaboli nuovi creati ad uso e consumo della storia fine a sé stessa.
Innovativo; perché mentre stai leggendo una storia e piangi, ti disperi e gioisci con il tuo personaggio preferito volti pagina e sei vittima di un giro di boa non indifferente che ti lascia senza fiato e anche un po'amareggiatoperché vorresti sapere a tutti i costi come andrà a finire.
Poi prosegui nella lettura, resisti all'impulso di fare "fast-foreward", e ti appassioni al protagonista successivo con i suoi difetti e i pregi.
E come nel gioco del 'trova le differenze' ti diverti a cogliere quei dettagli che tornano ciclicamente:come un incidente automibilistico che si ripete, un' interazione tra i personaggi che ti ricorda qualcosa che hai già letto qualche pagina prima, un concetto, una voglia a forma di cometa.

La meraviglia e lo stupor colgono il lettore a mano a mano che la storia procede, anche per la complessità delle storie e gli intrecci intelligenti che a volte sanno molto di thriller spionistico, altre di romanzo picaresco, altre ancora di romanzo storico e di ricostruizione diaristica. Per poi sforare nella fantascienza pura e semplice.
E' la vastità temporale di cui si prende cura l'autore e del messaggio rilegato con copertina, intrinseco a ogni esitenza seppur fantasiosa che l'autore ci consegna che più ti fa capire di avere tra le mani un ottimo romanzo... di quelli completi, che fanno volare la mente ma che la esercitano anche senza dimenticare di insegnare qualcosa.
La lotta per la libertà è l'insegnamento che più di tutto traspare al termine della lettura.
La lotta contro l'ostracismo e la differenza razziale tra i vari tipi umani o umanoidi; la lotta per la libertà sentimentale e artistica. La lotta per i principi dell'uomo e dell'emancipazione della donna.
La donna, che nel marasma apparente generale è una figura che ne esce nobilitata: è colei che idealizzata aspetta il suo uomo a miglia e miglia di distanza, il cui ricordo lo sprona a soppravvivere e lottare. E' colei che è regina dei salotti dell'alta borghesia e che detta le leggi sentimentali e quelle della casa. E' colei che fa sospirare il protagonista maschile e lo fa innamorare dell'Amore stesso.
E' colei che è pronta a donare all'umanità oltre che la propria vita, un nuovo credo che innalza tutti in parità di diritti e doveri. E' colei che viene da un mondo molto più sviluppato e senza seguire una logica ben precisa ma solo la sua innata irrazionalità, salva più di una volta e dona un nuovo futuro a un piccolo pastore e alla sua cultura.

I piani di lettura sono tanti, come gli stili utilizzati all'interno dello stesso romanzo; si passa dal diario di bordo e quindi da una narrazione diaristica datata giorno per giorno alle lettere forbite di un giovane compositore molto baudleriano indirizzate all'amico-amante lasciato in patria.
Per poi passare al flusso di pensiero ininterrotto con frasi spropositatamente lunghe e prive di punteggiatura per cui ti ci vogliono almeno quelle cinque pagine per prender il ritmo giusto di lettura. Ma efficaci e divertentissime.
Si passa all'intervista, discorsiva dunque e poco descrittiva; scarna e minimale all'inizio per diventare poi più ricca e complessa verso la fine perfino nei concetti tanto per seguire l'evoluzione mentale della protagonista.
Infine, c'è il racconto completamente discorsivo, sgrammaticato e incomprensibile per l'utilizzo di vocaboli inventati di sana pianta dell'ultimo protagonista; comunque spassosissimo e non privo di punti chiave che spiegano tutto e niente con la semplicità disarmante di un ignorante, paragonabile a un bambino.

E per questa volta, ho proprio detto tutto.
Incredibile: io che me la cavo in pochi paragrafi! Eppure, sono convinta che per apprezzare un buon libro, di ottima qualità bastino poche righe.
L'interpretazione migliore è quella personale sopprattutto su un'opera simile.
Quindi a voi l'onere.. intanto, questa è una lettura che io vi consiglio!

Hope Valentine.

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