sabato 19 gennaio 2013

I miei dieci migliori ascolti indie/alternative del 2012. Piccola chartpersonale e molto, molto ufficiosa.

Dal titolo è chiaro che non troverete dei nomi comuni, lo specifico da subito.
In più la lista di questi primi 10 album che mi hanno affascinata e tenuta con le cuffie incollate all'orecchio per tutto, o quasi, lo scorso 2012 è mia personalissima e non c'è nulla che derivi dalle varie "Worldwide Charts" etc., sempre che esistano. Quindi niente pop music, niente nomi troppo conosciuti, niente ritmi discotecari.
E soprattutto: non sono laureata in musica e non sono una critica musicale.
Trattasi di una lista di ascolti personali che rispecchiano i miei gusti per cui non voglio vedere sulle vostre facce espressioni che dicono "Ma io questi qui non li avrei nemmeno messi". Oppure: "Ma perché non ha messo questo o quell'altro artista!".
O ancora: "Ma chi cavolo è questa gente?".
Io vi ho avvisato in anticipo!

Ho voluto stilare questa lista di 10 album più interessanti usciti nel 2012; alcuni sono vecchie conoscenze alla prima esperienza da solisti, altri sono al primo album d'esordio. Altri ancora si erano già fatti conoscere in passato ma hanno preferito passare qualche anno nel silenzio prima di tornare sulle scene musicali con nuove proposte.
Il giudizio si basa sull'insieme che ne risulta dall'album, dall'armonia che tutte le canzoni ivi contenute creano e dal numero di pezzi meglio riusciti contenuti in un solo LP.
Non ci saranno grandi nomi ma solo artisti perlopiù sconosciuti nel mainstream, perché mi piace "farlo strano" e far conoscere nuove leve alla gran massa.
Alcune scoperte vanno condivise!


Soap&Skin--Narrow
10. Soap&Skin--"Narrow"
Partiamo con qualcosa di rilassato ed estremamente alternative. Sarà la voce di questa ragazza così calda e straziante al tempo stesso. Saranno le costruzioni melodiche che mescolano suoni sintetizzati e beat crudi a melodie al pianoforte che mi hanno colpita fin da subito, fatto sta che è stato amore a primo ascolto. E dire che non ne avevo mai saputo niente prima di incappare per caso in questa produzione, ficcanasando qua e là tra le nuove uscite dell'anno.
A tratti isterico, a volte dolce come miele i toni di questo album sono poco convenzionali.
I suoni ruvidi aggiunti durante la produzione che mi ricordano molto una recente pubblicazione di Feist (il suo "Metals", per la precisione), mi hanno fin da subito incuriosita e spinta verso un secondo e poi terzo ascolto, e così via. Quel qualcosa di primordiale, come i vagiti di un bambino: il suono che la voce stessa di Soap&Skin a tratti mi ricorda. La ragazza, è speciale.
Da ascoltare in relax, con un bicchiere di vino in mano. Oppure in una serata invernale in cui vogliamo cullarci nelle pieghe dell'essere umani.
Ascolto consigliato: "Voyage, Voyage", i pesanti sinth di "Deathmental", per poi farsi cullare da "Cradlesong" e "Wonder".


Cat Power--Sun
09. Cat Power--"Sun"
Da qualcosa in low-tempo si passa a qualcosa di... complicato! Beh, Chan Marshall è famosa per non essere una donna lineare e prevedibile e dopo un album di inediti pubblicato ormai quasi sei anni fa, quasi accantonate la depressione e delusioni sentimentali, ritorna sconvolgendo il suo stile ormai consolidato di chanteuse du mal vivre.
Non che sia diventata improvvisamente allegra e positiva; ha sempre quel malessere che va espresso nei bassi distorti e nei testi complicati, nelle ritmiche a singulto che ci propone in questa sua nuova fatica.
Inoltre non è proprio vero che il suo stile ne viene sconvolto: in realtà si partiva da quello – chitarra alla mano, pochi accordi stiracchiati – solo che poi è stato remixato da Philippe Zdar (Cassius), e il risultato è questo prodotto molto innovativo, mai stancante.
Provare per credere, anche per chi non si è mai approcciato a miss Marshall.
"Cherokee", "3, 6, 9", "Human Being", "Peace And Love": un po' ci ricordano il passato e un po' fanno un salto verso il futuro.
Lunghissima, ipnotica ma imperdibile: "Nothing But Time" ft. Iggy Pop.


Ty Segall--Twins
08. Ty Segall--"Twins"
Psichedelia portami via! E questo è solo il primo dei due album che pare uscito dagli anni '70 che vi proporrò (e non sono particolarmente fanatica del genere).
Questo terzo lavoro nel corso del 2012 per il nostro Ty, è il primo da solista e spero non l'ultimo. Che gli venissero più spesso questi lampi di genio che durano sì e no tre minuti ciascuno! Fresco, ben fatto, acido e garage fino in fondo.
Anche 'estivo' se vogliamo; sento già le endorfine che si propagano lungo le mie vene. In più ha il potere di catapultarti direttamente sul Golden Gate di San Francisco che non è da tutti.
Di duri e crudi ce ne sono tanti, ma di così bravi e con un senso estetico così spiccato, ce ne sono di contati.
Il caos è solo apparente benché a un orecchio poco allenato la cosa possa non sembrare evidente (e ho anche fatto la rima).
E poi, una strizzata d'occhio ai Nirvana, non fa mai male.
"Thank God For Sinners", "Inside Your Heart", "Would You Be My Love", "They Told Me Too", "The Hill", vi faranno capire perché questo festival della psichedelia mi piace tanto.


Mumford & Sons--Babel
07. Mumford & Sons--"Babel"
Mi erano mancati questi quattro allegri ragazzi di campagna! Per quanto questo lavoro mi ricordi molto le sonorità del predecessore ("Sigh No More"), e quindi delinei un'evoluzione pressoché inesistente, non ho potuto rinunciare ad ascoltarlo, ascoltarlo... e ascoltarlo.
Niente da fare, accidenti a loro e a quel banjo scatenato che li accompagna ovunque vadano! Non riesco a fare a meno di voler ballare come una pazza indemoniata al ritmo della loro gioia.
Ed è questa la grande bellezza di questo lavoro: il mondo è una Babele confusa, culture, idiomi, sentimenti diversi si mescolano indistintamente ormai ma, non si può fare a meno di vivere quest'esistenza con speranza, forza e un sorriso stampato in faccia.
Avanti così!
Consiglio in particolare:"Babel", "I Will Wait", "Lover's Eyes","Hopeless Wanderer", anche se come album va ascoltato proprio tutto per calarsi fino in fondo nel sound inconfondibile di questa band inglese.


Jake Bugg--Jake Bugg
06. Jake Bugg--"Jake Bugg"
E io detesto gli album omonimi degli artisti.
Questo ragazzino di appena diciotto anni, è un novellino che si atteggia a grande artista. Ma lo fa con una convinzione e una bravura che quasi ci sono cascata.
In verità l'album è un piccolo gioiello di bravura che trasuda da ogni nota e tanta, tanta immaturità musicale e compositiva che però – se avviato sul giusto cammino – promette di fare storia.
Ecco questo giovanissimo nuovo Elvis Costello, o anche giovanissimo signor Zimmerman se proprio vogliamo dare ragione alle critiche mondiali, che promette di regalare un sogno.
L'album andrebbe ascoltato tutto nelle sue influenze alla Simon&Garfunkel, molto acid-folk o più semplicemente folk-blues, ma i pezzi che vanno assolutamente passati in rassegna almeno una volta sono "Lighting Bolt", "Simple As This", "Country Song" e "Trouble Town" – quest'ultima soprattutto per capire quanto lo sguardo al passato di questo giovane artista, prometta un futuro luminoso.


Tame Impala--Lonerism
05. Tame Impala--"Lonerism"
Probabilmente se avessi avuto venticinque anni negli anni '70, avrei fatto quanto in mio potere per partecipare ai concerti di Woodstock. E dopo le mie preferenze musicali confermate da questa lista, non vi sono più dubbi.
Anche i Tame Impala sembrano arrivare da un viaggio acido dall'epoca della Peace and Love culture, eppure occupano un gradino più alto rispetto a Ty Segall che comunque ha rilanciato il genere nella sub-culture generation. Perché? Perché siamo di fronte a una band comunque innovativa che cerca il nuovo in ogni sound che produce, in ogni riff di chitarra accennata, a ogni tocco della tastiera il cui suono è distorto al massimo.
La cosa divertente è che sembrano comunque una sorta di Pink Floyd vestiti secondo la moda del XXI° secolo che si incontrano con i Beatles nella loro fase più psichedelica, con le stesse sonorità distorte e allucinate ma con una batteria onnipresente a volte assordante e in qualche caso pure monotona.
Nella mancanza di originalità, perché comunque si rifanno a un genere decisamente vintage, ci provano e ci riescono portando rispolvero in un genere che appartenne più ai nostri genitori che non a noi.
Provare per credere: "Apocalypse Dream", "Feels Like We Only Go Backwards", "Elephant", "Led Zeppelin (bonus track)", e "Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control".


Band Of Skulls--Sweet Sour
04. Band Of Skulls--"SweetSour"
Mi innamorai di questi tre ragazzi, che suonano come se fossero in trentatré, nel lontano 2009 e da allora non ho fatto altro che mandare il loro disco in ripetizione sull'iPod. Quando ho scoperto che sarebbero tornati con un nuovo lavoro di inediti ho abbandonato ogni precauzione e ho prenotato a scatola chiusa il loro secondo LP. Vista la loro presenza in questa lista, non mi hanno deluso.
Quasi ogni brano di quest'album è riuscitissimo e ti fa sentire come sulle montagne russe. Provate a far partire in ordine le prime tre tracce: dagli accordi aggressivi della omonima "Sweet Sour", ai sincopati ritmi della bellissima "Bruises" per poi rilassarvi definitivamente con la dolcissima e molto bluesy "Lay My Head Down".
E chiaramente si riparte in canna con "The Devil Take Care Of His Own".
Insomma, ce n'è per tutti i gusti. Dal pezzo tipicamente garage, alla ballatona da colonna sonora.
Di loro è stato detto che raccolgono ciò che è rimasto delle briciole della grandezza dei White Stripes, come se volesse essere un'offesa: beh, sono briciole ben riuscite.
Completano l'ascolto "Wanderluster", "Lies" e "Close To Nowhere".


E ora il podio.
Per i prossimi album credo sia giusto elencare le intere tracklist.


Lana Del Rey--Born To Die
03. Lana Del Rey--"BornTo Die"

  1. Born To Die
  2. Off To The Races
  3. Blue Jeans
  4. Video Games
  5. Diet Mountain Dew
  6. National Anthem
  7. Dark Paradise
  8. Radio
  9. Carmen
  10. Million Dollar Man
  11. Summertime Sadness
  12. This Is What Makes Us Girls
  13. Without You
  14. Lolita
  15. Lucky Ones
Di quest'artista ho già approfonditamente parlato qui, eppure non posso fare a meno di ripetermi.
La signorina è sciapa e non ha niente da dire? Falso. E' un personaggio di plastica creato a puntino per scatenare il mainstream attorno a lei? Forse, anche se credo che la ragazza sia proprio così, tanto bella da sembrare fake. Ha doti vocali limitate e non è che sia proprio questa grande interprete? Sì e no; di certo miss Grant ha ancora bisogno di qualche lezione canora ma non si può certo dire che con quelle sue tonalità profonde da oltre tomba non sappia farti venire i brividi.
Questo è un gran album e non c'è una canzone che una che non rasenti la perfezione. Melodie studiate fino ai minimi dettagli per dare quel gusto retrò anni '50-'60 che rende l'intero LP assolutamente accattivante e diverso dalle solite minestre riscaldate - passatemi il termine.
Lyrics che richiamano alla memoria i vecchi fasti del passato, quando Hollywood e Los Angeles erano ancora delle dreamland.
Dolcezza e amarezza alternate tra un pezzo e l'altro... insomma, il primo lavoro di Lana riconosciuto dalla gran massa è un ottimo punto d'inizio per una bella carriera a venire. Che spero preveda ulteriori maturazioni e sperimentazioni di genere che seguirò con interesse.
Perché la fanciulla è come quel cielo che si vede nell'art cover: sereno, ma intarsiato di nuvole grigie che ne interrompono l'innaturale perfezione.


Jack White--Blunderbuss
02. JackWhite--"Blunderbuss"

  1. Missing Pieces
  2. Sixteen Saltines
  3. Freedom At 21 
  4. Love Interruption
  5. Blunderbuss
  6. Hypocritical Kiss
  7. Weep Themselves To Sleep
  8. I'm Shakin'
  9. Trash Tongue Talker
  10. Hip (Eponymous) Poor Boy
  11. I Think I Should Go To Sleep
  12. On And On And On
  13. Take Me With You When You Go

Ed ecco che fa ritorno Jack White, questa volta con un progetto da solista che mi ha fatto tremare fin nelle ossa, non appena ne ho sentito parlare. Di pura gioia, s'intende.
Conosco White dagli albori e ne ho seguito la carriera fino a questo ultimo lavoro - cronologico chiaramente - per la sua etichetta indipendente Third Man Records.
La cosa meravigliosa è che, partito da un sound garage e sporco, molto rock e poi molto allucinato (con i Dead Weather), per poi passare a sonorità più blues che è sua dichiarata passione ed ispirazione musicale, con i The Raconteurs, il nostro caro Jack in questo lavoro mette insieme tutto questo e ci consegna un album pieno, sofferto, completo e maturo.
Maturo per portarlo alla consacrazione definitiva come uno dei master odierni del rock.
Partendo da pezzi che richiamano alla memoria i fasti dei White Stripes, come "Missing Pieces", "Sixteen Saltines" per poi farci fare un ripasso con "Freedom At 21" di ciò che ha combinato con i Dead Weather, non potevano mancare le parentesi blues di "Love Interruption" - magnifico nella sua semplicità disarmante e nella struttura semplicissima della melodia - e di "Blunderbuss".
Le fasi della carriera di White qui ci sono proprio tutte da quelle più originali a quelle classiche, da vero rispettoso di ciò che è stato in passato il genere del folk-blues. E come non citare la favolosa cover di "I'm Shaking", brano originale del 1960 e riportato in auge con un sound riadattato al XXI° secolo.
"Hip (Eponymous) Poor Boy", è un classico pezzo da The Raconteurs ma non c'è soddisfazione più grande che sentire l'introduzione di "On And On And On"; quel sound che pare arrivare direttamente dalle strade polverose di Nashville e quel ripetersi del ritornello in modo quasi insistente, ti affascina e ti obbliga a far ripartire il disco per goderne ogni sfumatura.
Alla fine Jack White è imprenditore di se stesso, fautore dei più svariati ed eclettici progetti musicali degli ultimi dieci anni, polistrumentista e autore dei brani indipendenti più conosciuti sulla faccia della terra (come dimenticare "Seven Nation Army" o la magnifica e potente cover "I Just Don't Know What To do With Myself"?), e non in ultimo una delle più grandi rock-star di questo secolo.
Questo LP ne è la riprova e, la conferma definitiva.


Thenewno2--Thefearofmissingout
01.Thenewno2--"Thefearofmissingout"

  1. Station
  2. Wide Awake
  3. Timezone
  4. I Won't Go
  5. Hanging On
  6. Looking Beyond
  7. The Wait Around
  8. Staring Out To Sea
  9. Make It Home
  10. The Number

Temo che il mio gruppo preferito di ma-chi-cavolo-sono, ben presto diventerà ah-sono-quelli-della-Sedicesima-Luna. Da quando ho scoperto che stavano lavorando alla colonna sonora de "La Sedicesima Luna", appunto (sui cui libri da cui è tratto il film, ho ampiamente ironizzato qui), mi è venuto il latte alle ginocchia. Però poi ho pensato che forse in questo modo avrebbero ottenuto un po' della considerazione a livello mondiale che meritano. Perché questa band è proprio brava.
Il figlio di George Harrison, Dhani Harrison (Dhani, ti voglio bene... ma che razza di nome hai?), fonda questa band nel 2009 insieme a un paio di sparuti compagni d'avventura, ma il progetto prende talmente corpo che attualmente la band conta ben sei membri. Tutto ciò che importava a questi signori quando hanno deciso di unire le forze artistiche era di fare musica per cui scelsero un nome che non suggeriva niente di materiale o reale. Semplicemente "Il nuovo numero 2", sembrava la scelta legittima perché l'altisonante cognome del frontman e chitarrista non fosse troppo d'intralcio (si fa per dire).
Dopo un esordio in sordina e nemmeno particolarmente rilevante - il solito lavoro di una band indie che non vuole essere etichettata sotto nessun genere musicale definito - raggiungono un'armonia e una maturità tali da portarli a questo secondo lavoro.
"Thefearofmissingout" è coraggioso, sperimentale e molto valido. Adoro, letteralmente, quando qualcuno prova a uscire fuori dagli schemi riuscendo a mantere un'identità ed è quello che avviene in questo LP.
Un mix perfettamente integrato di sinth-rock, rap e musica d'atmosfera.
Ti fa pensare questo "Thefearofmissingout"; ti fa capire che non va bene rimanere ancorati a un genere e non sforare mai con tentativi di sperimentazione misurata, accurata, pulita e pensata. Perché è di un album molto studiato quello di cui stiamo parlando. Pulito in ogni sound e lineare come solo un concept album sa essere.
La paura di non poter raggiungere un obbiettivo e il continuo cercare rassicurazione che tutto andrà liscio, che non si è soli è la tematica ricorrente di questo lavoro.
La voce eterea di Dhani, a volte anche un po' femminile in quegli acuti stilizzati, non fa che potenziare l'effetto di dilatazione del tempo che l'ascolto di questo album infonde.
Insomma, è di una vera bomba quella di cui stiamo parlando.
E' per questo che ho tanta paura che d'ora in avanti questa validissima band rischi di essere identificata con il franchise per cui ha scritto la colonna sonora. Non vorrei mai che facessero la fine di altre ottime band - come i Death Cab For Cutie, tanto per citarne una - che dopo aver partecipato a un progetto simile, hanno conosciuto una fama mondiale fine solo a se stessa e che li ha poi portati a una perdita d'identità e a un consequenziale e ovvio sfacelo (si sono sciolti i Death Cab, tanto per essere chiari).
Spero che che per i Thenewno2, il destino possa essere diverso.
Incrocio le dita.

Hope Valentine.


















The 2nd Law: un'entropia devastante... parola dei Muse

voto: ***** (e volendo, aggiungerei perfino un 1/2)


Lo ammetto... sono una fan sfegatata.

Ma di quelle pazze e complete che sanno tutte le canzoni a memoria.
Ho tutta la discografia e gran parte degli EP di questa band inglese che fino a qualche tempo fa nessuno calcolava o comunque conosceva poco, ma che poi ha sbancato con l'album "The Resistance" del 2010, spettacolare e futuristico lavoro che ha preceduto in ordine cronologico questo "The 2nd Law".
Proprio questi ultimi due LP, li considero uno lo sviluppo dell'altro e in quest'articolo ho tutta l'intenzione di spiegarvi il perché.

Un po' sono preoccupata, ammetto anche questo. Non è semplice scrivere di un lavoro musicalmente così complesso, giudicarlo e sparare a zero sulle storture o sulle perfezioni assolute che s'incontrano nell'ascolto. Non riesco ad essere assolutista e nemmeno a sbrigarmela in poche righe; c'è troppo da dire, una trama e una sotto-trama che vanno sviscerate a fondo (e direte voi: quando mai sei stata breve e concisa?!).
No, non mettetevi le mani nei capelli... Cercherò di fare meno figuracce possibili.

Ammetto un'altra cosa; di termodinamica non ci capisco niente. Sono andata a leggermi cosa dice la seconda legge proprio grazie a quest'ultima fatica dei Muse. Va riconosciuto loro anche il merito di smuovere le mente dei loro ascoltatori, che per capire un loro album sono costretti a fare un paio di ricerche in rete, oppure a riaprire i vecchi tomi di scuola così come le enciclopedie.

La seconda legge della termodinamica, a cui questo album è dedicato, specifica dell'impossibilità di un sistema isolato di svilupparsi all'infinito, in parole poverissime. Terminato l'interscambio di energie la crescita del sistema è destinata a rallentare e ad esaurirsi, fino alla cessazione di ogni attività.
La tecnologia, l'economia e le forze umane non potranno mai espandersi all'infinito, sono destinate ad esaurirsi prima o poi. E siamo nel 2012, anno che i Maya predissero come quello della fine del mondo... ma facciamo finta di niente.
Insomma, i Muse tornano più apocalittici che mai, parlandoci di una forza in continua espansione che tende all'esaurimento energico. Proprio per questo ci sono ancora i viaggi nello spazio che tanto affascinano Matthew Bellamy, il frontman, alla ricerca di un nuovo mondo da abitare per la specie umana.

Quale sia il manifesto dei nostri tre di Teignmouth, ci viene specificato nel brano "The 2nd law: Unsustainable", che spiega in un mix elettronico di dubstep e acustico, il concept dell'intero album:
"All natural and technological processes, proceed in such a way that the availability of the remaining energy decreases. (...) New energy cannot be created and high grade energy is being destroyed. An economy based on endless growth is Unsustainable".
Come la mappa dei percorsi del cervello umano rappresentata in copertina, la nuova produzione di questa band è varia, mai banale o scontata piena di colori cangiantissimi e dalle interpretazioni molteplici.

Recensione track-by-track.

L'album viene aperto dalla potente "Supremacy", breve nelle lyrics ma incisiva  nel sound: ti si pianta in testa come una "Dead Star" o come una "Super Massive Black Hole", con quei quattro colpi iniziali (sembrano quasi cannonate), su cui si sviluppa succesivamente il resto del pezzo, fatto di batteria/basso/chitarra e qualche fiato in sottofondo (al primo ascolto ho quasi immaginato coloro-che-suonavano-la-tromba, sul punto di esplodere per lo sforzo!).
Che i Muse abbiano deciso di intraprendere la strada dell'anarchia? Nulla è stato dichiarato, ma la canzone candidata per diventare colonna sonora del nuovo film di James Bond - e poi soppiantata dall'insipida "Skyfall" di Adele - scalda i cuori delle masse e muove alla reazione contro i sistemi corrotti.
L'accordo in coda al del pezzo pare quasi essere un 'di più', come se inizialmente non fosse stato previsto ma poi durante la registrazione a qualcuno è venuto il lampo di genio, specie perché arriva dopo pochi secondi che la canzone è terminata. Come a dire: "Hey, ragazzi... siamo pomposi come sempre, non scordatevelo!".
E chi ci prova?!

"Madness": primo singolo estratto da questa ultima fatica. Modella super-gnocca del video a parte anche questo pezzo è un po' il manifesto dei Muse. Vogliono essere grandi questi ragazzi e perciò traggono ispirazione a piene mani dai grandi gruppi del passato: se nella prima parte del pezzo sembrano i Queen in salsa elettronica con quel basso distorto all'ennesima potenza e i cori di voci che armonizzano la parola "madness", verso la fine si trasformano nella versione da stadio degli U2. Non c'è niente da fare; ascolti questo brano e già ti immagini poco sotto il palco a urlare e a cantare a squarciagola anche tu "Now, I have finally seen the light". Il testo poi, è l'apoteosi dell'amore passionale, controverso e battagliero. Per la serie "non è bello se non è litigarello", la canzone parla di due teste calde che si amano e si combattono senza tregua per tutta la durata della loro relazione. Riusciranno a sopravvivere? La risposta è nel verso: "I need to love". Energia chiama energia e la distruzione del sistema isolato, per il momento, viene evitata.

"Panic Station" : amo e odio questo brano. Lo amo perché lo trovo il più spensierato e leggero - passatemi l'aggettivo - dell'album. C'è sempre una sorta di denuncia velata nel testo ma viene celata sotto il ritmo incalzante dettato dal basso di Chris. Insomma, muoviamoci i fianchi sopra mentre Matt canta allegramente, "Get up and commit, show the power trapped within. Do just what you whant to now stand up and begin".
Lo odio semplicemente perché non riesce ad attecchire come invece accade per quasi tutti gli altri brani dell'album. Per carità, è una canzone impeccabile negli arrangiamenti ma passa veloce, quasi al ritmo di un vecchio successo rimasterizzato degli anni '80 di Michael Jackson, ma niente più. Forse è un po' di plastica, ammicca troppo alle grandi masse danzanti e adoranti e la cosa mi fa storcere il naso ma ho sempre tempo per ricredermi. Mai sottovalutare un brano dei Muse, nemmeno a distanza di anni.

"Prelude"+"Survival": questi sono i Muse che amo di più in assoluto! E su questo per niente al mondo cambierò idea (forse quando avrò ottant'anni e non mi piacerà più tanto 'casino' ma allora sarò quasi con un piede nella fossa, per cui...). Il lato sinfonico di questa band è pura magia, a mio modestissimo parere. Riescono a mettere insieme generi così apparentemente distanti, a farli piacere al loro pubblico anche a quello meno colto e, ci riescono così bene che dopo la pubblicazione di questo singolo che ha fatto da colonna sonora alle Olimpiadi 2012, le vendite dell'album appena pubblicato sono schizzate ai primi posti fin dalla prima settimana.
Inutile spendere parole esagerate e altisonanti per parlare di una canzone costruita alla perfezione: all'inizio del pezzo troviamo gli ormai familiari coretti alla Queen che poi lasciano il posto alla voce/chitarra potente di Matt (che raggiunge vette alte abbastanza da lasciarti basito durante l'ascolto), per un climax di suoni che esplode sul finale. Un inizio alla chetichella che si evolve in una specie di masturbazione collettiva dei sensi all'urlo di "Fight!": immagino Matthew Bellamy mentre va in trance nel cantarla e il pubblico che lo segue a ruota durante l'ascolto.
Io alla masturbazione ho partecipato la prima volta che ho ascoltato il pezzo, e non mi tiro indietro a farlo di nuovo.

"Follow Me": la prima volta che nella mia macchina, mentre guidavo per andare a lavoro, si sono diffuse le pesanti note della base dubstep di questa canzone non sapevo veramente che cosa pensare. 'Si sono bevuti il cervello?', oppure digressioni del genere: 'Ma cosa vogliono fare? Numeri più alti e quindi propongono senza arte né parte un pezzo che sa tanto di Skrillex? Hanno venduto l'anima al Diavolo, traditori!'. Ma anche: 'Beh, un po'di innovazione ci sta sempre. In fondo perché non dare a questa società consumista ciò che vuole?'.
Chiaramente i Muse mi hanno confuso le idee con questo colpo al fianco arrivato senza preavviso. Forse era proprio ciò che volevano fare, e ci sono riusciti benissimo. Il concetto alla base di questo brano è semplicissimo: un padre che dedica una canzone al figlio appena nato. Potevano permettere che il brano mantenesse un down-tempo che si addice a questo tipo di tematiche? No. E allora, infiliamoci il dubstep così da rendere il tutto più incisivo...
Alla fine io mi sono ricreduta proprio perché tendo sempre ad essere più propositiva che negativa e, al terzo/quarto ascolto già consideravo questo brano come una garanzia.

"Animals": i classici, impareggiabili Muse. Un brano dalla melodia sincopata con delle lyrics di critica sociale. Qui, l'idea di base della seconda legge di termodinamica viene sviluppata in un'accorato tentativo di sensibilizzare le masse allo strapotere della casta. Il testo mi ricorda vagamente un altro grande pezzo di denuncia sociale che è "Izes Of The World" degli Strokes (da "First Impressions of Earth"), nella melodia invece li trovo molto vicini ai Radiohead di "Ok Computer" . I parametri per additarli come anarchici sono una volta di più confermati e a loro sembra andare benissimo.

"Explorers": prolungamento di "The Resistance", questo brano ripropone le atmosfere da viaggio nello spazio e delle possiblità di vita oltre questo pianeta malato che non ha più niente da offrire al genere umano perché ormai completamente consumato. Si ipotizza perfino che l'Elio-3 possa essere la nostra speranza nella fusione nucleare per creare nuova energia di seconda generazione. Non un pezzo particolarmente energico e neppure 'orecchiabile' - tutt'altro, infatti è uno di quelli che piace di meno a un primo ascolto - ma comunque simbolico e pieno di significato . Una valida alternativa a chi proprio non ha digerito la svolta di "Follow Me". E per chi è cervellotico e cervellone proprio come loro.

"Big Freeze"; dal bellissimo testo: "But our dreams are not the same, and I... I lost before I started. I'm collapsing in stellar clouds of gas". Altro brano arrivato direttamente dal grande spazio caotico di "The Resistance" abbinato all'idea basica della seconda legge della termodinamica, con la sua entropia di energia dispersa e consumata ma molto più ispirato dagli U2 di quanto non lo sia "Madness". Anche qui, il climax c'è ma a intervalli regolari tra una strofa e l'altra. E' un brano energico la cui resa è sicuramente studiata per i concerti live.

"Save Me": altra sorpresa che proprio nessun fan si aspettava. Io me lo apettavo ancora meno perhé mi ero persa la dichiarazione dove si parlava di questa novità. Un attimo di deconcentrazione e ti pare proprio che a cantare non sia Matt, a meno che non abbiano distorto la voce all'inverosimile ma allora... vai a vedere nei credits e la risposta arriva immediata: il brano è scritto e cantato da Chris Wolstenholme! Prima volta in assoluto nella storia della band in cui accade che Matthew Bellamy lasci le redini della conduzione a quanlcun'altro e che il suo bassista faccia sentire non solo la sua voce ma palesi anche le sue abilità di scrittura. La canzone parla della dipendenza dall'alcol e di come l'amore e la famiglia possano salvare da questa dipendenza, di come possano fare da ancora. Fondamentalmente è una canzone d'amore dove la parola "alcol" non viene mai pronunciata, così come non viene mai citata nemmeno la parola "dipendenza", si presta pertanto a varie interpretazioni vicine alle sensibilità diverse di ogni ascoltatore. E' la canzone più intima ma anche quella meno specifica, se così si può dire e devo ammettere che passato il primo momento di smarrimento è molto bella. Riuscita decisamente.

"Liquid State": più heavy della precedente ma sempre scritta e interpretata da Chris, parla sempre della dipendenza attraverso cui il nostro bassista è passato. "I’m on red alert.Bring me peace and wash away my dirt.Spin me round and help me to divert and walk into the light", anche qui troviamo una richiesta d'aiuto espressa senza troppi giri di parole.
La voce di Chris non è male ma devo dire che non è paragonabile nemmeno lontanamente per stile e capacità a quella di Matt. Nemmeno le due canzoni sono poi così fuori dall'ordinario: sono solamente un piccolo spazio ritagliato a qualcun'altro che è sempre rimasto nell'ombra - più o meno - di un frontman ben più dotato e carismatico.
Comunque, capisco la scelta e la condivido; soprattutto per la necessità che l'artista ha sentito di condividere una parte così importante del suo vissuto.
Trovo anche che questi due pezzi, avvalorino ulteriormente la tesi su cui si basa l'intero progetto: il 'sistema isolato Chris' non sarebbe sopravvissuto senza l'interscambio di energie tra lui e le persone che lo amano e lo circondano e che lo hanno aiutato a venirne fuori. Nessuno di noi potrebbe vivere da solo.

"The 2nd Law: Unsustainable"+"The 2nd Law: Isolated System": ed eccoci alla conclusione con i contro... fiocchi! Come era avvenuto per "The Resistance", anche qui i Muse scelgono di concludere l'album con pezzi quasi esclusivamente strumentali  - se si esclude la citazione della seconda legge della termodinamica in "Unsustainable". Ma se per il primo dei due pezzi la band sceglie di utilizzare l'ormai apprezzatissimo dubstep e ci va giù pesante, per il secondo fa una virata più stile 'ambient' e conclude in grande stile, quasi dilatato nel tempo, un album che ci ha fatto girare la testa con i suoi continui sbalzi di ritmo.
Quasi come un cerchio che si chiude, "Isolated System" ci culla dolcemente verso una dimensione parallela. Quasi un viaggio nello spazio più nero.
Un viaggio che non terminerà di certo con "The 2nd Law", ma che promette di continuare ancora per molto, molto tempo magari con una nuova evoluzione che ci sorprenderà, come è successo questa volta.



La scelta di evolversi, cambiare e sperimentare è piaciuta poco ai vecchi irriducibili fan e molto di più ai nuovi adepti. Io che rientro nella schiera degli incalliti sono comunque molto contenta e soddisfatta di questo ultimo lavoro dei tre di Tegnmouth.
Non solo perché dimostrano ancora una volta che evolversi (vedi anche alla voce Radiohead), è il modo migliore per soddisfare un bacino più ampio di fan - mentre il rimanere ancorati a un genere, a parere mio, è controproducente e non da arricchimento culturale e personale - ma anche che si confermano di anno in anno una delle migliori band rock che abbiamo in circolazione in questo momento.
Qualcuno ha voluto calcare la mano nel paragone con gli U2 ma ritengo che queste due band abbiano ben poco in comune, se non nella grandiosità dei rispettivi live shows: Bono Vox ha una sensibilità e una dote di scrittura completamente diversi da quelle di Matthew Bellamy. Il primo scrive/scriveva insieme al resto della band le sue canzoni, mentre Matt è quasi esclusivamente un 'One show-Man'.
Gli U2 erano grandi nel passato, e sono stati fenomenali con la pubblicazione di album storici come "War", "The Joshua Tree", "Rattle and Hum", ma ora il presente appartiene a band come i Muse, che sanno cambiare e modificarsi a immagine e somiglianza del loro pubblico perché è proprio grazie a quest'ultimo che ne viene decretato il successo o meno. La divulgazione di un messaggio passa attraverso le persone che ascoltano la loro musica.
Trovo sbagliato additare una band simile come 'ormai troppo commerciale'... che mai ci sarà di commerciale in un concept album basato sulla Seconda legge della Termodinamica?

Ciance a parte, vi lascio con un quesito... un mio piccolo viaggio mentale, nonché provocazione: se dovessimo applicare la Seconda legge anche alla potente crescita in atto dei Muse, quanto tempo rimarrebbe prima che il loro sistema isolato si esaurisca?

Alla prossima recensione! ;)
Hope Valentine.


giovedì 10 gennaio 2013

Cloud Atlas... il libro, non il film!



Non è semplice scrivere di un romanzo della portata di "Cloud Atlas" scritto da David Mitchell nel 2004 e riportato alla ribalta dal recente adattamento cinematografico omonimo.
Per la struttura della storia, per la quantità di informazioni che contiene. La complessità dei personaggi che vi prendono vita.
Nemmeno il nocciolo della questione che si cela sotto 500 pagine e passa di romanzo è tanto semplice da spiegare.


Partiamo con calma e forse sarò in grado di sciogliere la matassa.

Sei sono le storie che compongono il romanzo, intersecate tra loro e consequenziali una all'altra come una serie di bambole matrioska.
Un notaio di San Francisco di fine '800 attraversa l'oceano per fare ritorno a casa dalla sua amata famiglia; un compositore degli anni '30 attraversa il Belgio per coronare il suo sogno di diventare collaboratore di uno dei più grandi musicisti viventi del periodo. Una giornalista degli anni '70 impiegata in un giornale di gossip viene a conoscenza di progetti economico-politici-ambientali e i tentativi di insabbiamento che li circondano destinati a rovinare il paese; un anziano editore inglese dei giorni nostri si ritrova "improgionato" in una casa di riposo a sua insaputa; un clone nella Corea del futuro, a cavallo degli anni 2000, che tenta di elevarsi rispetto allo scopo per  cui è stata creata. In un futuro post-apocalittico vicino agli anni 3000, un giovane cerca la libertà e la via di fuga da un popolo schiavista antagonsta della sua tribù d'origine.
Le storie cominciano e si interrompono tutte a metà fino al sesto capitolo e quindi al sesto protagonista, per poi riprendere da dove le avevamo lasciate procedendo a ritroso fino a tornare al punto di partenza.

Questa in parole povere la sinossi del romanzo ma sotto c'è molto, molto di più.

Le azioni compiute nell'esistenza precedente pare abbiano un'influenza su quella successiva e sembra che la stessa anima trasmigri e si reincarni da un personaggio all'altro, accumulando esperienze a livello inconscio che lo portano a fare alcune scelte piuttosto che altre.
Tra tutte le reincarnazioni, le femminili sembrano essere quelle che conservano il maggior numero di informazioni pre cognitive.
In realtà tutti i personaggi nell'arco delle storie si accorgono anche solo inconsciamente di avere qualcosa in comune con l'anima che li ha preceduti oppure di avere a che fare con una reincarnazione della stessa.
Ed è questo circolo infinito che attraversa le epoche e unisce una storia all'altraa farne uno dei punti forza del romanzo di David Mitchell,visionario quasi quanto quelli di Kurt Vonneghut.
L'altra parte forte di tutta la faccenda è che lo stile, il ritmo e il vocabolario che cambiano di capitolo in capitolo rispettano le epoche storiche e le personalità dei personaggi che le abitano.
Chiaramente nella traduzione all' italiano qualcosa dello smalto originale si sarà perso – anche se non ho  avuto occasione di leggerlo nella lingua d'origine – quella sottile ironia che traspare in alcuni giochi di parole o vocaboli nuovi creati ad uso e consumo della storia fine a sé stessa.
Innovativo; perché mentre stai leggendo una storia e piangi, ti disperi e gioisci con il tuo personaggio preferito volti pagina e sei vittima di un giro di boa non indifferente che ti lascia senza fiato e anche un po'amareggiatoperché vorresti sapere a tutti i costi come andrà a finire.
Poi prosegui nella lettura, resisti all'impulso di fare "fast-foreward", e ti appassioni al protagonista successivo con i suoi difetti e i pregi.
E come nel gioco del 'trova le differenze' ti diverti a cogliere quei dettagli che tornano ciclicamente:come un incidente automibilistico che si ripete, un' interazione tra i personaggi che ti ricorda qualcosa che hai già letto qualche pagina prima, un concetto, una voglia a forma di cometa.

La meraviglia e lo stupor colgono il lettore a mano a mano che la storia procede, anche per la complessità delle storie e gli intrecci intelligenti che a volte sanno molto di thriller spionistico, altre di romanzo picaresco, altre ancora di romanzo storico e di ricostruizione diaristica. Per poi sforare nella fantascienza pura e semplice.
E' la vastità temporale di cui si prende cura l'autore e del messaggio rilegato con copertina, intrinseco a ogni esitenza seppur fantasiosa che l'autore ci consegna che più ti fa capire di avere tra le mani un ottimo romanzo... di quelli completi, che fanno volare la mente ma che la esercitano anche senza dimenticare di insegnare qualcosa.
La lotta per la libertà è l'insegnamento che più di tutto traspare al termine della lettura.
La lotta contro l'ostracismo e la differenza razziale tra i vari tipi umani o umanoidi; la lotta per la libertà sentimentale e artistica. La lotta per i principi dell'uomo e dell'emancipazione della donna.
La donna, che nel marasma apparente generale è una figura che ne esce nobilitata: è colei che idealizzata aspetta il suo uomo a miglia e miglia di distanza, il cui ricordo lo sprona a soppravvivere e lottare. E' colei che è regina dei salotti dell'alta borghesia e che detta le leggi sentimentali e quelle della casa. E' colei che fa sospirare il protagonista maschile e lo fa innamorare dell'Amore stesso.
E' colei che è pronta a donare all'umanità oltre che la propria vita, un nuovo credo che innalza tutti in parità di diritti e doveri. E' colei che viene da un mondo molto più sviluppato e senza seguire una logica ben precisa ma solo la sua innata irrazionalità, salva più di una volta e dona un nuovo futuro a un piccolo pastore e alla sua cultura.

I piani di lettura sono tanti, come gli stili utilizzati all'interno dello stesso romanzo; si passa dal diario di bordo e quindi da una narrazione diaristica datata giorno per giorno alle lettere forbite di un giovane compositore molto baudleriano indirizzate all'amico-amante lasciato in patria.
Per poi passare al flusso di pensiero ininterrotto con frasi spropositatamente lunghe e prive di punteggiatura per cui ti ci vogliono almeno quelle cinque pagine per prender il ritmo giusto di lettura. Ma efficaci e divertentissime.
Si passa all'intervista, discorsiva dunque e poco descrittiva; scarna e minimale all'inizio per diventare poi più ricca e complessa verso la fine perfino nei concetti tanto per seguire l'evoluzione mentale della protagonista.
Infine, c'è il racconto completamente discorsivo, sgrammaticato e incomprensibile per l'utilizzo di vocaboli inventati di sana pianta dell'ultimo protagonista; comunque spassosissimo e non privo di punti chiave che spiegano tutto e niente con la semplicità disarmante di un ignorante, paragonabile a un bambino.

E per questa volta, ho proprio detto tutto.
Incredibile: io che me la cavo in pochi paragrafi! Eppure, sono convinta che per apprezzare un buon libro, di ottima qualità bastino poche righe.
L'interpretazione migliore è quella personale sopprattutto su un'opera simile.
Quindi a voi l'onere.. intanto, questa è una lettura che io vi consiglio!

Hope Valentine.