lunedì 19 novembre 2012

Lana Del Rey e la sua Paradise Edition del mondo

voto: ****
(dove il massimo è 5 stelle).


Eccoci di nuovo per un altro dei miei articoli-recensioni.

Questa volta dalla lettura si passa all'ascolto e vi vorrei parlare di una delle mie artiste - ultimamente - preferite. Tant'è che al concerto di Torino nel maggio 2013 prossimo, sarò in prima fila (con la mia migliore amica che mi accompagna amabilmente e mi sopporta, povera). E tanto per cambiare compare anche sulla mia foto-profilo.
Comunque, nonostante la mia recente ossessione - professionale e musicale s'intende, eh! - desidero parlare della riedizione di "Born To Die - The Paradise Edition", in maniera obbiettiva e disinteressata.

Lana Del Rey, nome d'arte di Elizabeth Woolridge Grant, arriva alla notorietà mondiale grazie alla pubblicazione su YouTube di un video di sua creazione che fa da cornice alla bella "Video Games". Da quel momento in poi la diffusione del brano e del personaggio Del Rey, divengono letteralmente virali e raggiungono tutti o quasi nell'arco di pochi mesi.
Esce "Born To Die", LP di quasi-esordio dell'artista che comunque ci aveva già provato in passato con un album che viene del tutto ignorato. A questo secondo tentativo invece, arriva il boom, e finalmente... è notorietà.

"Now my life is sweet like cinnamon like a fuckin' dream I'm livin' in. Baby love me 'cause I'm playin' on the radio. How do you like me now?" - Radio, Lana Del Rey.

Dopo qualche mese di puro Hype (ovvero la ridondanza di informazioni che Internet, TV, riviste e pubblicità ci rigurgitano addosso a proposito di un personaggio o un argomento in particolare), e di susseguirsi di commenti che andavano dalla ferocia inaudita all'amore platonico dichiarato, Lana ci ripropone non solo una sorta di "extended version" di "Born To Die", "Born To Die - The Paradise Edition" per l'appunto, ma anche un tour Europeo con i fiocchi con date aggiunte secondariamente vista l'enorme richiesta pervenuta all'organizzazione.
Ed eccoci arrivati all'argomento di questa recensione: "The Paradise Edition" era una pubblicazione necessaria al completamento di un opera già buona così com'era in origine o solo un'operazione di marketing - l'ennesima per quanto riguarda quest'artista - studiata a puntino?
Entrambe le cose, a mio parere.

Quando ascoltai per la prima volta "Born To Die", rimasi spiazzata dal richiamo evidente che si faceva a un album storico come "Born To Run", di Bruce Springsteen.
Ma l'accostamento finiva lì.
Non c'erano altri punti in comune con opere rock del passato, solo un'eco eterea così come era la voce che mi arrivava a tutto volume direttamente dagli auricolari.
I miei pezzi preferiti furono fin da subito la title track "Born To Die", "Blue Jeans" (fenomenale), "National Anthem", "Radio", "Summertime Sadness" e "Lucky Ones" quest'ultima compresa solo nella versione Deluxe.
Si deve sapere che il mio primo approccio con la musica è puramente acustico; i testi per me vengono poco dopo e danno un valore aggiunto alle melodie. Forse è proprio da questa ragione che nasce il mio amore per la musica di Del Rey, in quanto vi è un'accuratezza quasi maniacale nella produzione delle sue canzoni. L'incrocio con la cultura pop degli anni '50/'60, l'amore per le trame costruite con archi sognanti e soft-beats di sottofondo, si mescolano a testi che trasudano di modernità un po' per i termini in slang, un po' per il ritmo trascinato con cui vengono cantati da Lana.
E' vero che sembra sempre mezzo addormentata e forse non canta un genere proprio facile al primo ascolto. Sarebbe bene capire se sotto sotto, tutta questa difficoltà nel capire le sue canzoni deriva dal fatto che sì, sono effettivamente un prodotto Hipster (tanto per usare un aggettivo con cui è stata definita in questi mesi), oppure non hanno veramente nulla di così complicato ma siamo solo noi pecoroni - mi ci metto in mezzo anche io - a complicarci la vita.

Recensione Track-by-track

Da allora non è cambiato nulla e nella versione estesa troviamo comunque nove pezzi in più dalla produzione pregiata, che presentano lo stesso concept pensato per la versione classica.

"Ride", è chiaramente il pezzo da '90 del progetto; è stato presentato al grande pubblico come singolo accompagnato da un opulento video di ben 11 min, durante il quale il fan sfegatato può fare una scorpacciata di Lana Del Rey a livelli da capogiro. Ciò che questo pezzo fa però, è dare un valore aggiunto all'accostamento con le opere passate del rock, tipo "Born To Run" per l'appunto, di cui accennavo prima; il testo parla di una libertà selvaggia tra le strade U.S.A., di un'artista che ci prova e ci riprova portando la sua canzone "carina" on the road. Ecco, personalmente ho trovato questi riferimenti poetici, perché evocano proprio quelle storie che ci raccontava The Boss della sua America desertica e alienante. Ci trovo anche un velato riferimento ai viaggi senza meta, ai vagabondaggi di cui la Beat Generation faceva un baluardo. Questo ci racconta Lana, canzone dopo canzone: un viaggio attraverso la libertà di dire e di fare ció che si desidera. Un sogno americano in continuo movimento.

La ragazza è parecchio patriottica, "American" ne è la riprova: "Be young, be dope, be proud like an American". E toh, guarda chi viene citato nel testo come un segnale d'allarme se fino ad ora non avevate ancora capito la strada che vuol percorrere Miss Grant: Springsteen! Comunque, uno dei miei pezzi preferiti: malinconico e sognante a livelli da 'taglio delle vene' piuttosto alti. Abbinata a "Ride", è la dichiarazione d'intenti della cantante.

"Cola", segue a ruota e questa volta Lana vuole giocare d'azzardo e superare quel confine sottile tra spudorato e sporco, sporcandosi a piene mani: "My pussy taste like Pespi Cola", parola del fidanzato della Del Rey che è scozzese come se questo spiegasse tutto. Qui la cantante sfodera appieno le sue capacità sonore raggiungendo note abbastanza alte, anche se in falsetto, che fino ad ora non aveva mai sfiorato in sala di registrazione. Un po' perché il brano è uno tra i più briosi in quanto a ritmo, un po' perché visto l'argomento, non credo fosse possibile far deprimere nessuno.

"Body Electric"; stessa introduzione di violini che poi declinano in una melodia cupa e vibrante mentre le lyrics non fanno altro che sottolineare quel concetto di libertà molto libertino (scusate il gioco di parole) di cui Del Rey va fiera. L'apertura della canzone viene lasciata apposta ai violini e a pochi accordi di chitarra che ormai dopo "Blue Jeans"considero una sorta di marchio di fabbrica di quest'artista; donano un' aurea di 'tragedia calcolata'. Ogni volta che li sento vibrare come corpo portante di un suo pezzo... so già che devo preparare i fazzoletti da naso.

"Blue Velvet"; cover di uno standard originale, se non ricordo male cantato in origine da Tony Bennett, e colonna sonora di un film di David Linch e questo lo so bene perché è stato argomento trito e ritrito. Lana Del rey ama le atmosfere create dal regista e non si fa scappare l'occasione di mettere il suo stile e la sua classe in una cover che non ha nulla di scontato. E' brava Lana, e in questo pezzo ce lo dimostra ancora una volta.

"Gods & Monsters", è stata criticata negativamente dai più ma io l'ho travato il pezzo più stimolante della riedizione: quel ritmo martellante che rimane sempre lo stesso dall'inizio alla fine, quell'arpa pizzicata in suoni brevi e secchi, la melodia che si arricchisce piano piano mentre i minuti scorrono via. E il concetto che permea tutto l'abum ancora una volta confermato: "No one's gonna take my soul away, I'm living like Jim Morrison headed towards a fucked up holiday (...)".

"Yayo", è magnifica: per i meno pazienti e i detrattori di Lana è lentissima e quasi da sbadiglio ma io la troverei perfetta per una serata al Club, tra luci soffuse e chiacchiere attorno a un tavolino rotondo, nascosto tra i meandri del fumo prodotto dalle sigarette degli avventori... mi vedo quasi Lana stesa sulla coda del pianoforte che sussurra la sua melodia, parlando di tatuaggi e cocaina, diffusa in un microfono vintage anni '30.

"Bel Air", è luminosa e spero proprio che diventi il prossimo singolo. E' una sorta di ventata d'aria fresca in riva alla spiaggia di Los Angeles, mentre senti in sottofondo l'infrangersi delle onde sul bagnasciuga mescolato all'urlo dei gabbiani. Il refrain è quasi 'catchy' aggettivo che accostato a quest'artista è quasi un'eresia, ma rimane nella memoria come il ritornello. Della serie, non appena lo senti ti ricordi che la canzone ha "quel titolo lì" ed è "scritto da...". Direi perfetta.

"Burning Desire"; prosegue quanto cominciato da "Cola". Lana ama giocare con il suo uomo e provocare il suo ascoltatore. In questa canzone quasi suggerisce di essere una 'passeggiatrice soft' delle strade di L.A. non senza una certa malizia innocente da Lolita dei giorni nostri.
Il ritmo insistente e le lyrics che non lasciano immaginare nulla ma esplicitano tutto tra un sospiro studiato e l'altro, i cori in falsetto nel bridge, le tre note ripetute al pianoforte ne fanno in toto una canzone sexy e corrosiva. Non dimenticheresti nemmeno questa per niente al mondo.


Consiglio l'acqusito di questa riedizione del buon vecchio "Born To Die" che non delude i fan appassionati ma forse non si rinnova nemmeno anche se confermo che è un ottimo prodotto. Anziché pubblicare il nuovo materiale insieme ai vecchi pezzi, avrei trovato più intelligente accorpare tutto in un super EP di "Ride", come una sorta di transizione tra un vecchio e un nuovo lavoro anche perché su iTunes viene data la possibilità di acquistare le sole tracce nuove e non l'album per intero.

Se proprio lo volete acquistare, cosiglio l'edizione Box Set che trovate solo sul sito ufficiale e distribuito dalla Universal: è un po' costoso ma almeno contiene non solo i due album ma qualche gadget più le varie versioni ufficiali remixate dei singoli pubblicati negli scorsi mesi oltre che un vinile 7'' di Blue Velvet.

Hope Valentine.






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